Il prof Colapietra festeggia 90 anni tra libri e nuovi studi

25 Novembre 2021

Lo storico: «Ho fatto bene nel 2009 a non lasciare la mia casa mentre altri, in qualche modo, hanno tradito questa città»

L’AQUILA. Chissà quante zuppe a base di cipolla avrà mangiato in questi novant’anni, che compie oggi. Neanche il personale del ristorante da Ernesto potrebbe azzardare una stima. Neanche per una persona così abitudinaria come lo storico Raffaele Colapietra, nato all’Aquila una sera di novembre del 1931, in via Cascina, nel quarto di Santa Maria, e poi battezzato a Santa Maria Paganica. Nelle sue parole ricordi d’infanzia vividi che lo legano a questa città, come quando – sin da piccolissimo – seguiva suo padre Felice nelle strutture del presidio ospedaliero di Collemaggio. Lì, quest’ultimo, era stato chiamato a dirigere un reparto psichiatrico.

«A Collemaggio», ricorda, «ero l’unico bambino in un mondo di adulti, di pazzi e di vecchi, un bambino che andava girando col suo triciclo in mezzo alle ranocchie e alle papere in una sorta di bonaria e affollata fattoria dove arrivava l’odore acre del fieno della colonia agricola e la fragranza del pane appena sfornato». Dentro e fuori le mura, il professore conosce a memoria vicoli, strade, piazze, cortili nobiliari. «Sono un topo di città», ama dire di sé. «Nel senso che ho conosciuto e vissuto a pieno la nostra realtà urbana. Gli ambienti di montagna o di campagna rappresentano un aspetto molto marginale della mia vita».

Le origini e l’ambientazione di sfondo è questa. Nel mezzo, la sua carriera di insegnamento e ricerca: è stato docente di storia moderna all’Università di Salerno, dove ha insegnato fino al 1990. Ha scritto numerosi saggi di storia sociale e sulle classi dirigenti del Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, occupandosi, in particolare, della Napoli vicereale, di Masaniello, della transumanza, nonché dei partiti politici italiani tra XIX e XX secolo.

In ogni caso, tra le sue opere principali c’è la consistente biografia politica di Benedetto Croce uscita, in due volumi, tra il 1969 e il 1971. All’Abruzzo, e alla sua città natale, ha dedicato diverse pubblicazioni, oltre a numerosi articoli pubblicati in particolare sulla “Rivista Abruzzese”. È stato insignito dall’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” dell’Ordine della Minerva.
 

Professore, il film-documentario Draquila di Sabina Guzzanti diede risalto a livello nazionale al suo gesto di restare in casa, nonostante i danni del sisma, per non abbandonare gatti e libri. Come ricorda quei momenti ben 12 anni dopo?
«Feci qualcosa che mi sentivo. Peraltro la mia casa era danneggiata, ma non distrutta. Avevo tutta la possibilità di restare. E invece, purtroppo, ho visto moltissimi miei concittadini abbandonare L’Aquila per non farvi ritorno, se non dopo mesi, anni a volte. Qualcuno ha lasciato la città per sempre. Questa città, in qualche modo, è stata tradita. Quella del terremoto è stata una pagina particolare. Una narrazione a servizio di chi era a capo dell’allora governo: Silvio Berlusconi che sfruttò tutte quelle visite per accrescere il suo consenso personale. Per non parlare di quello che accadde con la commissione Grandi Rischi. In questo, ricordo con affetto l’impegno dell’avvocato don Attilio Cecchini in quella delicata battaglia legale».
 

Come ha vissuto questo periodo di pandemia?
«Ormai faccio una vita piuttosto ritirata, come quella di qualsiasi novantenne. Anche per questo ho scelto di non vaccinarmi, non perché sia contrario ma perché i miei contatti sono talmente limitati che credo di non averne bisogno».
 

Cosa pensa delle restrizioni applicate dai vari governi per contrastare il Covid?
«Credo che siano opportune e necessarie: della movida e delle feste natalizie si può fare a meno, così come di questo virus».
 

Dei suoi discorsi sull’Abruzzo colpisce la fotografia che lei fa di questa regione, ponendo l’accento sulle sue spaccature.
«L’Abruzzo ha sempre avuto diverse anime. Mi lasci fare un esempio. All’interno del Partito democratico convivono due figure di spicco come Luciano D’Alfonso e Stefania Pezzopane. Pur condividendo lo stesso orientamento politico, la loro azione è molto diversa e si pone a sostegno dei rispettivi territori: il primo è concentrato sulla costa, la seconda sulle azioni a sostegno delle aree interne».

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