Il sindaco di Celano e la sua lunga battaglia contro il cancro: «Si può guarire, bisogna affidarsi ai medici»

Settimio Santilli, intervistato dal Centro, racconta: «La malattia va guardata in faccia, ma concentratevi sulla guarigione»
CELANO. «Dal tumore si può guarire. Ma bisogna affidarsi alla medicina e alla scienza, affrontare il percorso di cura con ottimismo e bandire ogni forma di pietismo». Settimio Santilli, il sindaco di Celano, aveva 36 anni quando è stato colpito da un seminoma testicolare, una forma tumorale maligna. Era stato eletto da appena quattro mesi alla guida dell'amministrazione comunale. Ma non ha mai pensato, neppure per un attimo, di deporre la fascia tricolore. Di rinchiudersi tra le mura di casa per celarsi allo sguardo del mondo o di cedere alla pressione che crea una patologia così impattante. «La malattia va guardata in faccia», dice, «e bisogna parlarne». È un messaggio diretto, quello lanciato da Santilli proprio nei giorni in cui l'Airc, l'Associazione per la ricerca contro i tumori, dedica alla campagna di sensibilizzazione e alla raccolta fondi.
Sindaco, ci racconti, se le va. Come ha scoperto di essere malato?
«La malattia oncologica è qualcosa di devastante, ti getta in un baratro. Era il 2015, esattamente dieci anni fa. Mi dilettavo a giocare a calcio nella squadra Sportland di Celano. Un giorno come tanti: stavo preparando la roba da mettere in borsa per andare a giocare. Mi piego per metterla dentro e mi accorgo, all'improvviso, di avere un testicolo gonfio, come una palla da tennis».
Ha capito subito che qualcosa non andava?
«La diagnosi è arrivata immediatamente. Al pronto soccorso di Avezzano mi hanno fatto le analisi e hanno scoperto che i valori dei marker tumorali erano alle stelle. Sono stato anche fortunato perché c'era un urologo, che ha scoperto questo seminoma testicolare, un tumore maligno degli organi genitali dell'uomo».
Immagino la sua reazione...
«Ero frastornato, attonito. Il 1° novembre, di domenica, l'ho scoperto e il giovedì ero in sala operatoria, al San Salvatore dell'Aquila, dove il professor Boris Di Pasquale mi ha operato asportando il testicolo e la parte malata dei tessuti».
Da lì?
«La mia vita è cambiata radicalmente. Completamente stravolta: ho dovuto affrontare vari cicli di chemioterapia, ho fatto ben 14 sedute che sono durate più di un anno. Ancora oggi continuo a fare controlli periodici e cure di mantenimento, anche se fortunatamente non ho avuto recidive».
Tutto questo quanto ha influito sulla sua quotidianità?
«Tanto per dirne una, non ho più giocato a calcio: era rischiosissimo e poi ho avuto una sorta di blocco mentale. Ma le ripercussioni sono state tantissime».
Ma ci sono stati anche momenti belli: l'anno successivo si è sposato...
«Con Sabina, la mia fidanzata storica, ci siamo sposati nel 2017. Abbiamo deciso dopo aver scoperto la malattia, ma ci sono stati momenti brutti e una serie di vicissitudini legate agli effetti della chemioterapia».
Ha avuto effetti collaterali?
«La chemio era rischiosa per il liquido spermatico. All'inizio ci hanno detto che non avremmo potuto avere figli e nemmeno provarci perché c'erano troppi fattori di rischio per il feto e la gravidanza».
Ma non vi siete arresi...
«No. Abbiamo deciso di ricorrere alla procreazione assistita: prima dell'operazione avevo effettuato il congelamento del liquido seminale all'ospedale Careggi, in Toscana. E nel 2021 è nata Greta, una splendida bimba che mi ha ridato il sorriso e la voglia di vivere».
Come ha affrontato la malattia?
«Non è stato semplice. Facevo otto ore di chemioterapia al giorno e, per far passare il tempo, portavo il pc in ospedale e lavoravo. Sono un ingegnere civile e ambientale».
Lavorava, faceva il sindaco, poi il papà. Non si è mai fermato?
«Non ci ho pensato neppure un attimo. La mia vita è stata sempre piena e complicata, ma per me era la normalità. Gli effetti collaterali delle cure hanno cambiato radicalmente la mia quotidianità e le cose normali che ciascuno di noi fa, devo seguire un'alimentazione rigorosa e attenta, devo stare attento a tutta una serie di prescrizioni dei medici, mi ero gonfiato per effetto della chemioterapia e dell'utilizzo massiccio di cortisone e ancora oggi al mattino ne risento. Ero un'altra persona, trasformato. Mi sono caduti i capelli e non sono più ricresciuti. Sono cambiate insomma tutte le abitudini che ha una persona normale, ma poco male va benissimo così, mi sento fortunato».
Quanto è stato importante il sostegno della famiglia nella lotta al cancro?
«Ho affrontato la vita di coppia con gioia e speranza, la mia famiglia mi ha dato tanto sostegno. La più grande differenza l’ha fatta la professionalità, la competenza e l'umanità dei medici che mi hanno avuto in cura al San Salvatore all'Aquila, la dottoressa Catia Cannita prima e adesso Tina Sidoni, che mi hanno seguito e dato una forza enorme nell'affrontare la fase critica della malattia, due fuoriclasse della medicina come il dottor Boris Di Pasquale».
Lei non si nasconde dietro la paura del cancro, ne parla. Perché?
«Voglio dare un messaggio di speranza. Nessuno si cerca la malattia, ma questa non va nascosta. Non ci si deve vergognare di essere malati di cancro, ma affidarsi alla medicina, alla scienza e alla professionalità dei medici. Affrontarlo a testa alta, con grande dignità e determinazione. Un consiglio nel mio piccolo che posso dare è quello di circondarsi di positività ed ottimismo, allontanare la negatività come anche il pietismo, che non producono nulla. Non darsi mai per vinti e cercare di vivere la quotidianità come sempre, distogliere la mente dal tarlo quotidiano che tanto fa male».
Non tutti hanno questa forza però.
«È l'approccio che fa la differenza: dal tumore si può guarire, lo dicono i numeri e le statistiche. È una malattia che stravolge la vita, ma questo è il minore dei mali. I cambiamenti si affrontano, se sai che c'è in gioco la tua esistenza, la tua vita e il bene della tua famiglia».
È stato faticoso conciliare le cure con l'attività amministrativa?
«Ero sindaco da poco quando mi hanno scoperto il tumore. Ma non ho mai pensato di mollare, anzi. Gli impegni istituzionali distoglievano l'attenzione da quel chiodo fisso, il cancro. Cercavo di pensarci il meno possibile. In questi dieci lunghi anni non mi sono mai abbattuto: la politica, il lavoro e il senso di responsabilità verso la comunità che mi aveva dato fiducia e che mi aveva espresso solidarietà in maniera importante, sono stati il motore della rinascita».
Il momento più difficile?
«La scoperta della malattia, Mi è crollato il mondo addosso».
E quello in cui ha visto la luce in fondo al tunnel?
«La nascita di Greta, la mia bambina. Ho sentito che potevo farcela»
È questo che vuole trasmettere, la speranza?
«Ai malati di cancro dico che non devono mai abbattersi, né vergognarsi della loro condizione. Non bisogna concentrarsi sulla malattia – è l'errore più grande – ma sulla guarigione».
Qualcuno l'ha mai attaccata?
«È capitato. Ma le malelingue che giudicano lo stato di salute e soprattutto le conseguenze che la malattia porta con sé non vanno prese in considerazione. Guai a ironizzare sulla malattia, ma ognuno ha la sensibilità che gli appartiene».
Come vede il domani?
«A colori. Ho in programma tante iniziative, farò anche degli eventi di solidarietà per aiutare l'associazione "Progetto Viva" dell'Aquila per dare ulteriori strumenti per il supporto psicologico e strutturale ai malati di cancro. Alla lotta alla malattia va aggiunto il risvolto psicologico: l'attenzione alla persona non deve venire mai meno, deve stare al centro di tutto. Solo così si può combattere il cancro».
©RIPRODUZIONE RISERVATA

