Il sisma infinito, l'economista Leon: "Danni incalcolabili"

L'AQUILA. Il sisma infinito. Cinquecentoquaranta milioni di euro in fumo. Questi gli effetti del terremoto sulle imprese. Duemila quelle della cinta urbana che hanno chiuso, oltre tremila posti di lavoro cancellati. Le stime sono dell'economista Paolo Leon. Il docente universitario, uno dei quattro saggi consulenti della struttura tecnica di missione, nel suo studio «Prime considerazioni sugli scenari di sviluppo e le strategie di intervento da mettere in campo per il territorio dell'Aquila» esordisce con una frase che spaventa: «Non è possibile stimare i danni economici prodotti dal terremoto».
LO STUDIO. Il documento del professor Leon parte da una premessa: «Nell'epoca antecedente il terremoto del 6 aprile 2009», scrive l'economista, «il territorio aquilano mostrava una scarsa vitalità e preoccupanti segnali di declino, con un'economia molto dipendente dal settore pubblico e nella quale le attività private, sia industriali sia terziarie, apparivano nel complesso sottodimensionate. È allora evidente come L'Aquila, così come i Comuni circostanti, non possa preoccuparsi soltanto di ricostruire fisicamente quanto è stato distrutto, cercando il più possibile di ripristinare la situazione preesistente, ma debba porsi anche il problema di ripensare il proprio sviluppo, soprattutto laddove questo mostrava evidenti segni di debolezza, o non appariva adeguato a garantire, nel più lungo periodo, un modello economico e sociale durevole e sostenibile. L'opera di ricostruzione fisica è naturalmente necessaria e dovrebbe essere portata a termine nel più breve tempo possibile, ma può essere meglio progettata e realizzata se si sarà in precedenza elaborata una visione strategica dello sviluppo futuro del territorio. Una prospettiva economica e un progetto di sviluppo condiviso», sostiene Leon, «contribuirebbero a evitare che la ricostruzione riproducesse lo status quo e facesse emergere di nuovo i fattori di debolezza e i problemi del passato, non garantendo quel rilancio di cui il territorio aquilano ha oggettivamente bisogno, e disperdendo le opportunità di lungo periodo offerte dalla ricostruzione».
PRE-SISMA. Prendendo in esame le stime Istat, l'economista ha esaminato il valore aggiunto pro capite del sistema locale del lavoro dell'Aquila (che comprende il capoluogo e altri 28 Comuni della Provincia tutti ricadenti nell'area del cratere sismico). Da quest'osservazione è venuto fuori che «il valore aggiunto si attestava, nel 2005, su 18919 euro, un dato che, pur essendo superiore al dato medio regionale (17835) si collocava ben al di sotto di quello nazionale (21785). Se si analizza, tuttavia, la dinamica relativa all'ultimo quinquennio disponibile (2000-2005), appare evidente come L'Aquila abbia conosciuto un processo fortemente involutivo. Il valore aggiunto pro capite nel quinquennio in esame si è ridotto del 9 per cento a fronte di variazioni di segno positivo registrate sia a livello regionale (+12%) che nazionale (+17%). Il confronto con altri sistemi urbani dell'Italia centrale evidenzia come la performance economica dell'Aquila nel primo quinquennio degli anni Duemila sia stata davvero disastrosa, non essendo in nessun altro caso rilevabile un andamento del valore aggiunto negativo. Peraltro, l'intera provincia si è comportata assai meglio del suo capoluogo, con una crescita pari, nel complesso, al +9%».
RAPPORTI CON ROMA. Scrive Leon: «Il problema posto dai rapporti tra L'Aquila e Roma non può essere ignorato. Una parte dell'occupazione aquilana si svolge nella capitale, e lì spende una parte del proprio reddito. Inoltre, nelle funzioni direzionali e nei mercati di alta specializzazione, di nuovo la capitale attrae parte della domanda locale. Ciò può indicare elementi per le prospettive future: se la crescita all'Aquila riprendesse, attirerebbe aquilani ora occupati a Roma; se si creassero nel territorio del capoluogo attività in concorrenza con quelle romane, si rafforzerebbe l'autonomia del processo di sviluppo».
VITALITÀ DEMOGRAFICA. Dallo studio dell'economista emerge anche che «un andamento economico così negativo non aveva, tuttavia, determinato, negli anni antecedenti il sisma, fenomeni di contrazione demografica. Al contrario, sia L'Aquila sia il sistema locale del lavoro avevano sperimentato, negli anni Duemila, una dinamica demografica positiva, leggermente superiore a quella registrata in media sia a livello regionale che nazionale. La crescita è stata causata dal rilevante flusso migratorio proveniente dall'estero». (1-continua)
LO STUDIO. Il documento del professor Leon parte da una premessa: «Nell'epoca antecedente il terremoto del 6 aprile 2009», scrive l'economista, «il territorio aquilano mostrava una scarsa vitalità e preoccupanti segnali di declino, con un'economia molto dipendente dal settore pubblico e nella quale le attività private, sia industriali sia terziarie, apparivano nel complesso sottodimensionate. È allora evidente come L'Aquila, così come i Comuni circostanti, non possa preoccuparsi soltanto di ricostruire fisicamente quanto è stato distrutto, cercando il più possibile di ripristinare la situazione preesistente, ma debba porsi anche il problema di ripensare il proprio sviluppo, soprattutto laddove questo mostrava evidenti segni di debolezza, o non appariva adeguato a garantire, nel più lungo periodo, un modello economico e sociale durevole e sostenibile. L'opera di ricostruzione fisica è naturalmente necessaria e dovrebbe essere portata a termine nel più breve tempo possibile, ma può essere meglio progettata e realizzata se si sarà in precedenza elaborata una visione strategica dello sviluppo futuro del territorio. Una prospettiva economica e un progetto di sviluppo condiviso», sostiene Leon, «contribuirebbero a evitare che la ricostruzione riproducesse lo status quo e facesse emergere di nuovo i fattori di debolezza e i problemi del passato, non garantendo quel rilancio di cui il territorio aquilano ha oggettivamente bisogno, e disperdendo le opportunità di lungo periodo offerte dalla ricostruzione».
PRE-SISMA. Prendendo in esame le stime Istat, l'economista ha esaminato il valore aggiunto pro capite del sistema locale del lavoro dell'Aquila (che comprende il capoluogo e altri 28 Comuni della Provincia tutti ricadenti nell'area del cratere sismico). Da quest'osservazione è venuto fuori che «il valore aggiunto si attestava, nel 2005, su 18919 euro, un dato che, pur essendo superiore al dato medio regionale (17835) si collocava ben al di sotto di quello nazionale (21785). Se si analizza, tuttavia, la dinamica relativa all'ultimo quinquennio disponibile (2000-2005), appare evidente come L'Aquila abbia conosciuto un processo fortemente involutivo. Il valore aggiunto pro capite nel quinquennio in esame si è ridotto del 9 per cento a fronte di variazioni di segno positivo registrate sia a livello regionale (+12%) che nazionale (+17%). Il confronto con altri sistemi urbani dell'Italia centrale evidenzia come la performance economica dell'Aquila nel primo quinquennio degli anni Duemila sia stata davvero disastrosa, non essendo in nessun altro caso rilevabile un andamento del valore aggiunto negativo. Peraltro, l'intera provincia si è comportata assai meglio del suo capoluogo, con una crescita pari, nel complesso, al +9%».
RAPPORTI CON ROMA. Scrive Leon: «Il problema posto dai rapporti tra L'Aquila e Roma non può essere ignorato. Una parte dell'occupazione aquilana si svolge nella capitale, e lì spende una parte del proprio reddito. Inoltre, nelle funzioni direzionali e nei mercati di alta specializzazione, di nuovo la capitale attrae parte della domanda locale. Ciò può indicare elementi per le prospettive future: se la crescita all'Aquila riprendesse, attirerebbe aquilani ora occupati a Roma; se si creassero nel territorio del capoluogo attività in concorrenza con quelle romane, si rafforzerebbe l'autonomia del processo di sviluppo».
VITALITÀ DEMOGRAFICA. Dallo studio dell'economista emerge anche che «un andamento economico così negativo non aveva, tuttavia, determinato, negli anni antecedenti il sisma, fenomeni di contrazione demografica. Al contrario, sia L'Aquila sia il sistema locale del lavoro avevano sperimentato, negli anni Duemila, una dinamica demografica positiva, leggermente superiore a quella registrata in media sia a livello regionale che nazionale. La crescita è stata causata dal rilevante flusso migratorio proveniente dall'estero». (1-continua)
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