L'Aquila, mense scolastiche: indagini della Procura

Esposto di un concorrente: il Comune avrebbe assicurato vantaggi economici a una ditta

L'AQUILA. L'appalto per le mense scolastiche dell'Aquila, gestite dalla Vivenda, è finito all'attenzione della procura della Repubblica chiamata a indagare «su presunti vantaggi economici che il Comune dell'Aquila avrebbe assicurato alla società che gestisce il servizio». Il tutto racchiuso in un esposto che l'avvocato Fausto Corti ha presentato ai magistrati per conto della Essebi srl dell'imprenditore avezzanese Berto Savina (lo stesso Savina ha già presentato un ricorso al Tar). Secondo l'esposto «tali vantaggi economici non dovuti, sarebbero stati assicurati alla Vivenda attraverso l'aumento ingiustificato del costo dei singoli pasti e l'acquisto di arredi senza le procedure di gara o a un prezzo decisamente più alto rispetto a quelli di mercato».

La storia ha avuto inizio ancor prima del terremoto, e precisamente a giugno del 2008. Risale a quella data, secondo la narrazione dell'avvocato Corti la pubblicazione del bando di gara per l'affidamento del servizio di refezione scolastica in una trentina di istituti cittadini: un appalto da 3,6 milioni di euro, originariamente della durata di due anni, vinto dalla Vivenda spa con un ribasso del 13%, pari a un costo per ogni singolo pasto di 3,48 euro. «Successivamente» sempre secondo l'esposto «quella cifra era lievitata a 4,60 euro in virtù di una delibera della giunta comunale del 28 ottobre 2010. Un aumento, dunque, di oltre il 30% giustificata dal fatto che il servizio non veniva più effettuato attraverso il preconfezionamento del cibo, ma con lo sporzionamento direttamente a scuola».

Un aumento sollecitato dalla Vivenda. «Ma uno degli articoli del contratto tra il Comune e la Vivenda prevedeva che, nel caso in cui la quota del servizio "multirazione" avesse raggiunto il 40% il Comune avrebbe ricontrattato il prezzo in ribasso». Insomma, il costo sarebbe dovuto scendere anziché aumentare.

Sempre stando all'atto di Corti, la delibera dell'ottobre 2010, «stravolgeva il provvedimento del dirigente del Diritto allo studio che due mesi prima aveva stabilito, vista l'imminente scadenza dell'appalto, di riaffidare il servizio alle stesse condizioni previste nel contratto originario». Un aggravio di spese quantificabile, secondo i firmatari dell'esposto, in 160 mila euro annui. C'è poi la questione degli arredi. «Nel luglio 2010, la Vivenda segnalava al Comune che il passaggio dalla mono alla multirazione rendeva necessario l'acquisto di attrezzature (l'importo si è aggirato sui 270 mila euro). Una spesa alla quale avrebbe dovuto parzialmente contribuire la società. Il Comune, rispondendo a un'interrogazione chiarì che la fornitura sarebbe stata acquistata utilizzando le somme offerte come migliorie dalla Vivenda, cioè 110 mila euro per ogni anno di affidamento del servizio, quindi 330 mila euro». Ma secondo l'esposto «i beni ordinati sono diversi da quelli previsti nel capitolato sottoscritto tra Comune e società».

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