L'Aquila, otto mesi di attesa per fare la riabilitazione neurologica

Paziente colpita da ictus costretta a interrompere la terapia specifica già avviata con successo La denuncia al Centro: «I tagli del personale hanno creato soltanto disagi e lunghissime liste di attesa»

L’AQUILA. Paziente colpita da ictus cerebrale attende da otto mesi una chiamata per continuare la terapia di riabilitazione neuromotoria già al centro delle cronache, per il blocco del servizio, nello scorso mese di marzo.

Torna alla ribalta la problematica che sfociò, a suo tempo, in una diffida inviata da un avvocato incaricato dalle famiglie i cui bambini usufruivano del servizio in questione. Stavolta la denuncia arriva da un’insegnante, Patrizia Cocciolito, che ha scritto al Centro per raccontare la sua storia e rendere pubblico tutto il suo disappunto.

«Credo che, ormai, la parola rispetto abbia perso il suo significato più profondo», scrive la paziente. «E pensare che a scuola ancora cerchiamo di insegnarlo ai bambini. Rispetto per chi soffre, rispetto per chi vive in una situazione di disagio. Il mio è uno sfogo amaro. Il problema non è solo il mio, ma di tante altre persone che, come me, necessitano di fisioterapia a causa di seri problemi di salute (nel mio caso un ictus). Solo circa due anni fa mi trovavo in una situazione completamente diversa. Ero con carta e penna per tessere gli elogi, meritatissimi, del centro di fisioterapia sorto solo pochi anni prima a San Lorenzo di Pizzoli. Un centro, come quello di Collemaggio, dove l’alta professionalità si accompagnava a un’ottima accoglienza e dove la parola malasanità non aveva senso di esistere. E cosa succede? Questo angolo di paradiso viene smontato, annullato in nome di che cosa? Bilancio, forse? E i pazienti, ultima ruota del carro, stanno a casa, nonostante le attente e rigide commissioni mediche di valutazione rilevino la necessità di continuare gli incontri di recupero».

«Ma qual è il problema?», si chiede l’insegnante nella lettera. «Non c’è personale sufficiente, al posto degli operatori solo lunghe liste di attesa. Nel mio caso l’attesa dura da otto mesi. È stato ridotto un aspetto del recupero molto delicato, quello neurologico: i pazienti come me devono lavorare per ripotenziare quella parte del cervello che non è attualmente in grado di dare comandi precisi a una parte del proprio corpo. E allora, di cosa stiamo parlando? È troppo facile addossare la parola malasanità al personale che opera nel campo. Io mi sono trovata di fronte medici, fisioterapisti, segretari eccezionali, ma anch’essi sono nel disagio più assoluto e quello che dispiace è che sono loro a metterci la faccia quando si va per chiedere quando si riprenderà il lavoro di recupero. Ad essi va ancora il mio grazie di cuore che purtroppo non posso estendere ad altri. Mi chiedo: per vedere riconosciuti i propri diritti, bisogna ricorrere agli avvocati? Ho iniziato questa mia riflessione con la parola dignità, la chiudo con la parola vergogna».

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