Avezzano

La denuncia dei braccianti: «Sfruttati dai caporali del Fucino 5 euro l’ora, siamo come bestie»

21 Maggio 2025

Un 42enne marocchino: «Raccogliamo ortaggi da mezzanotte per caricare cinque rimorchi in un giorno». Sul fenomeno anche la procura ha acceso i riflettori sospettando infiltrazioni della criminalità

AVEZZANO. Senza filtri. Parla della sua lunga manovalanza nei campi e finisce con il rivelare una realtà a tinte drammatiche del sistema agricolo del Fucino. Vittima di un lignaggio operativo decennale che accomuna tanti. Ma non tutti. Lo chiameremo M., 42 anni. È la voce di una denuncia pubblica delle condizioni di sfruttamento nelle quali versa la piana. In cui i caporali agiscono con eccezionale autorità. «Pretendono 2 euro da ogni lavoratore sulla tariffa oraria concordata col padrone», il datore di lavoro. «Decidono quando, dove e se lavoriamo. Ma sempre alle loro condizioni». E ancora «ci obbligano a pagare per trasportarci al lavoro con un piccolo furgone. Se ci lamentiamo ci estromettono dalla squadra e restiamo a casa. Ci comandano tutti». Questo e molto altro. In un contesto finito sotto la lente della procura di Avezzano, che indaga sulla possibile presenza di infiltrazioni criminali. E sul quale la prefettura ha istituito un tavolo permanente di lavoro.

Tra alcuni proprietari aziendali esiste il pregiudizio per il lavoratore “vicino” agli ambienti sindacali. Sono reietti in un sistema occupazionale fondato sull’omertà. M. è uno di quelli considerati “amici del sindacato”. «Da due anni non riesco più a trovare lavoro. Due settimane fa ho fatto l’ultimo colloquio. Sembrava tutto in via di definizione. Abbiamo anche trovato l’accordo sulla paga oraria. Poi hanno chiesto referenze a loro. E non se ne è fatto più nulla». Nel racconto dà per scontato che abbiamo inteso si riferisse ai caporali. E allora chiediamo esplicitamente. «Di chi stiamo parlando?». E lui: «Dei capi». Capo, nel gergo italiano dei marocchini, sta proprio per caporale. «Ormai tutti mi conoscono e vanno a dire ai padroni che io sono vicino alla Cgil», prosegue. A quel punto, proviamo ad andare a fondo. «Quando parli di “tutti”, a quanti caporali ti riferisci?». Lì per lì non dà risposta. Si limita a un «tanti». Troppo evasivo. E allora insistiamo. «Tanti quanti? Dieci?». Lui a quel punto ride. «Ma come dieci? Forse intendete cento».

Un marocchino come tanti. Si direbbe. Arrivato su un’imbarcazione lungo la tratta dello Stretto per Tarifa. A sud della Spagna. «Era il primo martedì di ottobre del 2000. Siamo salpati che erano le 2 di notte». Sbarcato sulla costa andalusa, ad aspettarlo un amico d’infanzia. «Con la macchina abbiamo attraversato tre Paesi e siamo arrivati in Italia». In Marocco ha lasciato 6 fratelli. E gli studi. Un ragazzo istruito. Iscritto per due anni alla facoltà di Legge di Marrakech. «Ma la fame non dà scampo», ammette. E allora ha rincorso il mito del viaggio.

«Controllano tutto. E comandano tutti». Il caporale gestisce i rapporti lavorativi tra azienda e manovalanza. E perciò è al di sopra dei lavoratori. Da questa posizione di comando trova mezzi e argomenti per lucrare sugli stranieri. «Braccianti, carrellisti, operai del magazzino. Siamo tutti uguali rispetto all’autorità del capo. Lavoriamo per 7 euro l’ora. Ma 2 euro sono per lui. Ogni ora, tutti i giorni. Se provi a dire che questo non ti sta bene e che la paga è stata decisa col padrone, il giorno dopo non lavori. Quello successivo neppure».

«Il capo di solito ha un furgone. Che appartiene al padrone. È lui che ci passa a prendere per andare nei campi. E per questo ogni giorno gli dobbiamo 5 euro. Andata e ritorno. Ogni corsa è da 8 lavoratori. Ovviamente fa più viaggi. Molti di noi non hanno mezzi propri di trasporto», prosegue. «Se non paghi resti a piedi e puoi scordarti il lavoro».

«La loro forza più grande è la nostra debolezza comune: la lingua». M. è in Italia da 24 anni e conosce bene l’italiano. Ma chi è arrivato da poco dal nord Africa è spesso vittima di un sistema di controllo che agisce sull’incapacità di confrontarsi. Gli stranieri che abitano i centri del Fucino e scendono a patti coi caporali non conoscono i propri diritti. Figuriamoci il sistema burocratico degli uffici di riferimento per la gestione delle pratiche di lavoro.

«Qui il capo si fa mediatore con i diversi istituti per la documentazione necessaria ai fini delle varie scadenze. Servizio che ai lavoratori cosa carissimo. Per una commissione all’Inps possono chiedere fino a 500 euro», racconta. In questa storia, reazioni non ce ne sono. «Non si muove una foglia. Qui c’è una guerra. E io in quasi 25 anni non ho mai visto un politico. Lavoriamo a cottimo. Andiamo a raccogliere ortaggi a mezzanotte con la torcia sulla fronte per caricare 5 rimorchi in 24 ore. Eppure nessuno è mai venuto a dirci che è sbagliato». Si avvilisce. «E allora denunciamo qualcosa che forse non può cambiare. Tanto vale tornare ad abbassare la schiena sui campi. Come fanno le bestie».

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