La Otefal verso il fallimento

I sindacati: un mare di debiti e nessun acquirente
L'AQUILA. «Un vero dramma». Commentano così, i sindacati, la situazione della Otefal di Bazzano, che rischia il fallimento. Un mare di debiti costringe l'azienda a ricorrere alla procedura di concordato preventivo in tribunale: in bilico ci sono 230 posti di lavoro. Appello a ministero e istituzioni locali.
In un territorio già duramente colpito sul fronte dell'occupazione, si tratta dell'ennesima pagina nera. Sembra un bollettino di guerra: altri 230 posti di lavoro a rischio, a conferma di un'emorragia che non si arresta. La Otefal, di proprietà della famiglia Pozzoli di Bergamo, opera da circa 30 anni nel campo della lavorazione dell'alluminio. Il mercato non manca, ma la situazione debitoria accumulata non è più gestibile: svanita la possibilità di cedere lo stabilimento - in lizza c'erano un gruppo arabo e un imprenditore romano - non resta che avviare la procedura di concordato preventivo.
Se verrà accettata dal tribunale, e per saperlo dovranno passare alcuni mesi, arriverà un commissario, per tentare il salvataggio dell'azienda. Nel peggiore dei casi, si andrà al fallimento. E' stato lo stesso amministratore unico, Luigi Pozzoli, ad annunciare ieri ai sindacati la drammaticità della situazione. La richiesta di concordato preventivo continuativo verrà presentata in tribunale entro il mese di giugno: una procedura non usuale, che finora è stata concessa a circa 15 aziende in tutta Italia e che, una volta approvata, dovrebbe traghettare la Otefal all'interno della legge Prodi-Marzano, così come già accaduto per la Finmek.
E in questo caso, l'epilogo è stato disastroso. Perciò bisogna correre subito ai ripari: «Abbiamo già richiesto un incontro al ministero dello Sviluppo Economico», fanno sapere i rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm, «e lo stesso faremo con Comune, Provincia e Regione. Va aperto immediatamente un tavolo tra le istituzioni locali e l'azienda: nessuno può tirarsi indietro, visto che si rischiano 230 posti di lavoro. Avevamo lanciato l'allarme già da tempo, ma non sono arrivate risposte».
Da circa 13 settimane i dipendenti della Otefal stanno scontando la cassa integrazione a rotazione, a gruppi di 80 persone: si lavora sui residui di commesse, ma i creditori sono dietro la porta e l'approvvigionamento delle materie prime potrebbe diventare sempre più difficoltoso, se i fornitori non vengono pagati. Un circolo vizioso, che potrebbe portare dritto verso il fallimento. Per il momento, l'azienda ha assicurato che gli stipendi di giugno sono coperti, ma sul futuro pesa come un macigno l'enorme debito - si parla di 20 milioni di euro ma potrebbero essere molti di più - accumulato a causa di investimenti che non hanno prodotto i risultati sperati. Il sito Otefal di Portovesne, in provincia di Cagliari, ha già chiuso, con l'ingresso del curatore fallimentare.
In un territorio già duramente colpito sul fronte dell'occupazione, si tratta dell'ennesima pagina nera. Sembra un bollettino di guerra: altri 230 posti di lavoro a rischio, a conferma di un'emorragia che non si arresta. La Otefal, di proprietà della famiglia Pozzoli di Bergamo, opera da circa 30 anni nel campo della lavorazione dell'alluminio. Il mercato non manca, ma la situazione debitoria accumulata non è più gestibile: svanita la possibilità di cedere lo stabilimento - in lizza c'erano un gruppo arabo e un imprenditore romano - non resta che avviare la procedura di concordato preventivo.
Se verrà accettata dal tribunale, e per saperlo dovranno passare alcuni mesi, arriverà un commissario, per tentare il salvataggio dell'azienda. Nel peggiore dei casi, si andrà al fallimento. E' stato lo stesso amministratore unico, Luigi Pozzoli, ad annunciare ieri ai sindacati la drammaticità della situazione. La richiesta di concordato preventivo continuativo verrà presentata in tribunale entro il mese di giugno: una procedura non usuale, che finora è stata concessa a circa 15 aziende in tutta Italia e che, una volta approvata, dovrebbe traghettare la Otefal all'interno della legge Prodi-Marzano, così come già accaduto per la Finmek.
E in questo caso, l'epilogo è stato disastroso. Perciò bisogna correre subito ai ripari: «Abbiamo già richiesto un incontro al ministero dello Sviluppo Economico», fanno sapere i rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm, «e lo stesso faremo con Comune, Provincia e Regione. Va aperto immediatamente un tavolo tra le istituzioni locali e l'azienda: nessuno può tirarsi indietro, visto che si rischiano 230 posti di lavoro. Avevamo lanciato l'allarme già da tempo, ma non sono arrivate risposte».
Da circa 13 settimane i dipendenti della Otefal stanno scontando la cassa integrazione a rotazione, a gruppi di 80 persone: si lavora sui residui di commesse, ma i creditori sono dietro la porta e l'approvvigionamento delle materie prime potrebbe diventare sempre più difficoltoso, se i fornitori non vengono pagati. Un circolo vizioso, che potrebbe portare dritto verso il fallimento. Per il momento, l'azienda ha assicurato che gli stipendi di giugno sono coperti, ma sul futuro pesa come un macigno l'enorme debito - si parla di 20 milioni di euro ma potrebbero essere molti di più - accumulato a causa di investimenti che non hanno prodotto i risultati sperati. Il sito Otefal di Portovesne, in provincia di Cagliari, ha già chiuso, con l'ingresso del curatore fallimentare.
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