Le donne tra violenza e rivalsa “L’amore rubato” della Maraini

Viaggio a Roma degli studenti del Liceo Classico Torlonia per la presentazione del libro La scrittrice sceglie il Festival di Gioia per la sua battaglia a favore della donazione di organi

ROMA. A tu per tu con la scrittrice del momento. Un bus, tacchi alti, cravatta e tanta voglia di vivere un’esperienza unica. Alle 14.20 siamo quasi tutti in piazza Matteotti, ad Avezzano. Il tempo di un rapido appello da parte delle insegnanti Rossella Del Grosso e Federica Gambelunghe per aspettare i ritardatari e alle 14.35 siamo già in viaggio. Ci attende un’intervista con Dacia Maraini. Noi ragazzi del Liceo Torlonia che frequentiamo il corso di giornalismo non vediamo l’ora di incontrare la scrittrice toscana innamorata dell’Abruzzo. L’appuntamento è a Roma, alla “Casa dell’aviatore”, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “L’amore rubato”. Oltre al pubblico numeroso, sono presenti la direttrice del Tg3 Bianca Berlinguer, lo scrittore-giornalista Aldo Cazzullo e l’attrice Piera Degli Esposti, che ha letto uno dei racconti contenuti nel libro, suscitando con la sua interpretazione grande emozione in sala.

Moderatore dell’evento Eugenio Murrali, scrittore, appassionato del teatro marainiano. Musica e specialità culinarie tipiche abruzzesi hanno reso ancora più piacevole il pomeriggio culturale.

Prima della presentazione la Maraini si mette a nostra disposizione.

Lei ha scritto romanzi, saggi, racconti, opere teatrali e cinematografiche: quale genere letterario preferisce?

«Io mi considero una raccontatrice di storie, quindi una romanziera. Ho, però, una grande passione per il teatro, che amo molto. Scrivere un romanzo è un lavoro solitario, bisogna chiudersi in se stessi e concentrarsi. Invece, il teatro permette di lavorare a contatto con gli altri. Perciò ogni tanto mi piace interrompere la solitudine per lavorare in comunità».

Nella sua carriera ha vinto molti premi, quale le ha dato maggiore soddisfazione?

«Mah, forse il premio “Campiello” nel ’90 con “Marianna Ucria” perché è un premio molto prestigioso e poi perché ero molto giovane ed è stato il primo grande premio che ho ricevuto. Ne ho presi tanti altri, ma quello lì è il più importante anche perché non mi aspettavo questo gran successo di Marianna, che è stato inatteso».

Come è nato il suo progetto di dar vita al Festival nazionale dell teatro di Gioia e come mai ha scelto questa località per un evento di così grande rilievo?

«Se si parla dell’Abruzzo, tutto è incominciato per caso come a volte iniziano le cose. Una sera ero a Gioia dei Marsi, una località bellissima in mezzo al parco, dove passano gli orsi. Ho pensato che ci sarebbe stato bene uno spettacolo teatrale e lo abbiamo organizzato credendo, però, che sarebbero venute poche persone, perchè la rappresentazione era dietro la chiesa, in una serata di vento. Invece c’erano più di duecento spettatori, una vera sorpresa, quindi ho pensato che c’era un forte bisogno di teatro. Cosi è nata l’idea del Festival».

Quest’anno il Festival è dedicato alla problematica della donazione degli organi, perchè questa scelta?

«Bravi, mi piace questa domanda. Questa scelta è nata da una cosa concreta, reale. La direttrice della nostra associazione sta aspettando un rene da quattro anni e quindi mi sono sentita molto vicina a lei in questo periodo. Mi chiedevo sempre perché non lo riuscisse ad ottenere. Piano piano abbiamo approfondito la questione e scoperto che l’Italia è uno degli ultimi Paesi d’Europa in fatto di donazioni sia da cadavere, sia da vivente. Per me è una cosa bellissima perché con la donazione degli organi, potrebbero essere salvate moltissime vite umane. In Italia purtroppo non c’è una legge che faciliti i trapianti».

I sei racconti contenuti nel libro “Amore Rubato” richiamano alla memoria tristi fatti di cronaca, quelle che lei narra sono storie vere o frutto della sua fantasia?

«Sono tutte storie vere, alcune italiane, altre straniere. Ho cambiato i nomi, ho cambiato i luoghi perché non volevo fare un documentario sulla realtà,volevo lavorare su un tema molto forte, quello della violenza sulle donne. Quindi ho preso delle storie vere e le ho rielaborate in una forma narrativa. Un bambino non nasce stupratore o picchiatore, lo diventa perché c’è una società che è ancora basata sui ruoli, sulle gerarchie e sui privilegi. Ci sono degli uomini che non vogliono accettare l’idea che una donna possa essere libera, autonoma. Tutto questo è un’ idea di potere che non ha niente a che vedere con l’amore. L’amore è generosità, vuol dire rispettare l’altro».

Secondo lei, perché molto spesso le donne non denunciano i loro aguzzini, per paura o per amore?

«Non è semplice rispondere a una domanda del genere. Diversi possono essere i motivi che spingono una donna a non denunciare il suo carnefice. Il primo è spesso di tipo pratico: quando la violenza si consuma in famiglia, denunciare significherebbe rinunciare al sostegno economico da parte dell’aguzzino. Un altro motivo potrebbe essere di presunzione: molte donne presumono di poter guarire, con il loro affetto, un amore che in realtà è malato. Bisogna tuttavia sapere che quando un uomo picchia una donna e quest’ultima lo perdona, la violenza si perpetua e non ci sono possibilità di tornare indietro».

I suoi testi, come anche in questo caso, trattano spesso specifici problemi sociali e politici, quale pensa sia il ruolo degli intellettuali (scrittori in particolare) nella società odierna?

«L’intellettuale non può cambiare il mondo, però può sensibilizzare, fare coscienza: è su questo che deve lavorare. Non ha la facoltà di modificare le leggi o l’economia, però può creare una maggiore consapevolezza nelle persone, penso sia questo il suo importante compito».

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