«Ma quale grazia? Mio figlio è in una bara»

La madre di uno dei tre studenti morti nel crollo del Convitto rompe il silenzio: pochi 4 anni, da Bearzi neanche una telefonata

L’AQUILA. «La grazia per cosa? Bearzi ha avuto quattro anni di carcere. Mio figlio da sette è in una bara. E io sono condannata a piangerlo per l’eternità».

Lucia Catarinacci indossa i vestiti del lutto, osserva la foto del suo Luigi e decide di rompere il silenzio dopo giorni. Da quando la vicenda di Livio Bearzi, già preside del Convitto nazionale dell’Aquila, condannato in via definitiva a 4 anni di reclusione per la morte di tre studenti, rimbalza sui mezzi di informazione di tutta Italia. Uno di quegli studenti era Luigi Cellini, 15 anni appena, figlio della donna di Trasacco. Gli altri due si chiamavano Ondreiy Nouzovsky e Marta Zelena, rispettivamente di 14 e 16 anni.

Per il preside Bearzi si sono mobilitati in molti, a cominciare da insegnanti e studenti del terzo istituto comprensivo di Udine dove ha svolto la sua attività fino a pochi giorni prima dell’arresto. La presidente della Regione Friuli, Debora Serracchiani, ha inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, una «richiesta di attenzione alla delicata situazione» del dirigente scolastico Bearzi. All’Aquila sia la senatrice Stefania Pezzopane che Renza Bucci, presidente della “Fondazione 6 aprile per la vita”, si sono schierate dalla parte di Bearzi, mostrandosi favorevoli alla grazia. Per il preside è in corso una petizione affinché il capo dello Stato conceda la libertà.

Non la pensa così la madre dello studente sepolto dalle macerie della scuola.

«Ho visto e letto parecchi commenti», esordisce Lucia Catarinacci. «Una persona ha scritto su Facebook che devo perdonare per vivere in pace. Un’altra si è permessa di mandarmi un messaggio dicendomi che è l’unico che sta in galera per il terremoto. Mi sento ferita da questa gente che non sa stare zitta. C’è stata una condanna per Bearzi perché ci sono state delle prove contro di lui. Bearzi è stato giudicato nei tre gradi di giudizio, dove si sono alternati pm, giudici, avvocati. Bearzi poteva evitare ciò che è accaduto a mio figlio e questo non glielo perdono. Ho letto che in molti hanno detto che è una persona amabile, una brava persona. Non lo metto in dubbio. Ma in questi anni Bearzi non l’ho mai visto, mai sentito, neanche una telefonata. Non è mai venuto al cimitero a pregare sulla tomba di mio figlio. Adesso si chiede la grazia per una persona che non ha avuto pietà?».

Lucia Catarinacci torna anche sulla telefonata che a suo dire poteva salvare il figlio.

«Mio figlio si poteva salvare», prosegue la madre dello studente morto nel crollo. «Sarebbe bastata una telefonata da parte del preside, nell’imminenza delle scosse, e saremmo corsi a riprenderlo. Mi hanno raccontato che dopo le scosse ordinò: i maggiorenni fuori dal Convitto e i minorenni dentro. Lui andò a dormire al piano terra, i ragazzini al terzo piano. Sapeva che il Convitto era inagibile dal 2004 e sapeva che c’erano ripetuti terremoti. Da madre, a tutte queste persone che giudicano, faccio una domanda: al posto mio come vi sareste comportate? La rivolgo anche alla signora Pezzopane. Volevo risponderle dopo quanto scritto sul Centro, ma poi ci ho ripensato. Come si permette di dire certe cose? La grazia a mio figlio chi l’ha data?».

E aggiunge: «Sappiamo tutti come vanno le cose in Italia. E ora, per una volta che la giustizia ha fatto il proprio dovere, hanno tutti da ridire. Volete sapere che cosa penso veramente? Per me, madre che ha perso un figlio che non ha mai vissuto la sua vita, i quattro anni al preside Bearzi sono anche pochi. La legge stavolta ha funzionato e per questo devo dire grazie al mio legale, l’avvocato Antonio Milo, una persona eccezionale. Questa vicenda continua a ferirmi profondamente. Da giorni evito di andare su Facebook. Non ce la faccio a leggere le sciocchezze di chi si permette di giudicare senza sapere».

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