Mancini: la scuola di Renzi non va

Il dirigente va in pensione dopo 40 anni di lavoro: un errore i presidi sceriffo

«Mi hanno soprannominato il preside degli alunni. Ma non me la prendo: sono loro per me la componente più importante della scuola. Quelli che durante la mia lunga carriera mi hanno dato più soddisfazioni e che oggi, alla soglia della pensione, hanno saputo stupirmi, ancora una volta, per l’affetto».

Dopo quarant’anni all’interno della scuola, 30 da preside, Angelo Mancini, dirigente dell'istituto Cotugno e consigliere comunale, uno dei punti di riferimento delle scuole aquilane, andrà in pensione il prossimo settembre. Proprio quando entrerà in vigore la riforma Renzi: «Una riforma che non condivido a pieno e che mi desta molte preoccupazioni», come spiega, in un’intervista in cui racconta il suo lungo percorso scolastico.

Quali sono state le tappe principali della sua carriera all’interno della scuola?

«Il primo incarico da insegnante l’ho ottenuto a Bergamo nel 1975, dove sono rimasto per nove anni, prima di trasferirmi a Rieti. La mia carriera da preside, invece, è cominciata Liceo Scientifico di Amatrice. Un’esperienza forse prematura, tanto che dopo appena due anni, ho deciso di tornare a insegnare a Borgorose. Ho quindi dovuto fare un nuovo concorso per la presidenza: in totale ne ho superati cinque. Sono andato a finire a Padova. Dal ’92 sono riuscito a riavvicinarmi, a Teramo prima, poi all’Aquila: al Classico, ai Geometri, all’istituto Agrario e dal 2007 al Cotugno».

Ricorda un aneddoto di quei primi anni?

«Mi torna alla mente l’approccio con l’insegnamento a Bergamo. Lì si parlava esclusivamente in dialetto e io non capivo i miei alunni, così mi misi a parlare in aquilano. Un giorno sulla macchina trovai la scritta: “Quatrà mo’ te frego. Se ci penso, rido ancora oggi"».

Come è cambiata la scuola durante questi anni?

«È cambiata soprattutto dal punto di vista contabile, i ragazzi sono rimasti sempre gli stessi, a dispetto di quanto si dice, stessa l’attenzione da parte degli insegnanti. Ci sono solo molte carte di più da riempire, progetti da portare a termine che spesso servono poco o niente alla didattica. Il primo incarico da dirigente l’ho avuto in un istituto con quattro classi e 57 alunni. Oggi devo gestirne più di 1.200 oltre a quelli del convitto. Allora, inoltre, tutto era deciso dai provveditorati, mentre oggi ci sono solo indicazioni generali da parte del ministero, ma gran parte è demandato all’autonomia delle scuole».

Ritiene che la situazione possa migliorare con la riforma Renzi, appena approvata?

«Della riforma mi preoccupa soprattutto la figura del preside sceriffo, che potrebbe portare a una ancor maggiore conflittualità all’interno delle scuole. Non può essere un dirigente a decidere se un insegnante è bravo o meno, né quale insegnante far lavorare. Non mi piace neanche la valutazione che si chiede di fare dei docenti. Ho l’impressione che si apriranno tempi duri per la scuola».

Qual è stato l’anno più importante della sua carriera?

«Il 2009. Vedere la città ridotta a brandelli dal terremoto e cercare di convincere gli alunni a tornare all’Aquila, non è stato facile. La ricostruzione della scuola nella sede di Pettino cercando di recuperare quello che era rimasto all’interno degli storici palazzi Quinzi e Gaglioffi, gli esami di stato dell’estate 2009, l’esperienza nelle scuole della costa. Niente è stato facile in quei giorni e ancora oggi non riesco a trattenere l’emozione. È stato, però, certamente l’anno più importante della mia carriera, il più tosto, ma anche il più intenso. L’anno in cui sentivo di poter fare qualcosa davvero per questa città».

Il disastro ha cambiato anche la popolazione studentesca?

«I ragazzi che oggi frequentano le scuole sono molto più maturi rispetto a quelli che le frequentavano nel 2008, sono ragazzi che hanno vissuto il terremoto. Molti nuclei familiari sono andati fuori città, ma la nostra scuola ha retto, grazie a un corpo insegnanti valido e a collaboratori tecnici e amministrativi all’altezza».

Chi prenderà la sua eredità?

«Non lo so. So di lasciare una scuola che gode di ottima salute e penso che chiunque dei colleghi, tra quelli che hanno fatto domanda per dirigerla, sia in grado di farlo».

Come occuperà il tempo libero in pensione?

«Dopo sei anni ancora non parte un cantiere delle scuole del centro, intanto il liceo Scientifico di Avezzano è stato abbattuto e ricostruito con i fondi del terremoto: questo significa che chi ci rappresenta non ha capito come doveva muoversi. È per questo che voglio passare i prossimi anni dedicando più tempo alla città di cui sono anche consigliere comunale, non solo facendo opposizione, ma con proposte concrete. Spero di poter dare ancora molto all’Aquila».©RIPRODUZIONE RISERVATA