Musica e slogan, viaggio nell'asilo occupato

Tra i ragazzi di viale Duca degli Abruzzi timori per le denunce e voglia di non mollare
L'AQUILA. Dirimpettai di Bruno Vespa. Gli ignari occupanti guardano le finestre della casa natia dell'illustre concittadino mentre salgono e scendono dalle scale con le braccia cariche di roba da spostare. Viale Duca degli Abruzzi. Asilo occupato, senza kappa. La bandiera neroverde e quella della Pace inalberate all'ingresso. Sulle scale lo stereo a palla e due giovani guardiani senza divisa che quando entri non ti bloccano. «Sei del Centro? Tranquillo, ma niente foto in faccia».
ASSEMBLEA. Mancano pochi minuti alle 18 quando la sala mensa diventa spazio per l'assemblea. «Se ne fa una al giorno, verso le sei», dice uno dei ragazzi che si offre di aprire tutte le stanze, a patto che nessuno gli chieda come si chiama. «Sai, è per quella storia delle denunce. A proposito, voi che sapete? Perché a noi fino ad ora non è arrivato niente. Hanno preso i documenti a cinque ragazzi, ma l'altra volta nessuno fu identificato e le denunce arrivarono lo stesso». Già, le denunce. «Dopo quelle che alcuni di noi hanno avuto per le manganellate di Roma, quelle per le carriole e quelle per Casematte a Collemaggio potrebbero arrivarne altre. Non ci spaventano ma un po' di timore comincia a girare. In ogni caso, quando siamo entrati qui le porte erano mezze aperte. Eppoi, come abbiamo scritto anche nel volantino, noi non vogliamo lasciare questa città. E non possiamo più aspettare. Era il momento di farlo. E noi l'abbiamo fatto». E si è scatenata la bagarre tra destra e sinistra con richieste di sgomberi forzati. Finora, però, è tutto tranquillo. Di notte si dorme senza problemi, la vigilanza è discreta, essenziale.
COSA VOGLIAMO FARE. «Abbiamo intenzione di aprire subito un'aula studio e una biblioteca, una sala multimediale, una mensa, una sala cinema, la sede di una web radio, una palestra popolare, una sala prove, uno studio di registrazione, laboratori artistici e artigianali, un laboratorio di documentazione, un ostello popolare per i fuori sede, un urban center per ospitare materiali e dibattiti sulla ricostruzione», dicono gli occupanti. «Ma è soltanto l'inizio, abbiamo bisogno delle idee, dei progetti e dei sogni di tutti per realizzare progetti concreti che nascano dai reali bisogni della collettività. dacci una mano ad aprire questo spazio polifunzionale nel centro della città». Uno spazio che ha già spaccato la città.
«ECCO SE FUMA». Su un cartello rosso la smoking area diventa «Ecco se fuma». È la prima porta a destra entrando, dove tra Cip e Ciop e i Tre Porcellini (questo è pur sempre un vecchio asilo) trovi scritte anticlericali, motti anarchici e un invito all'arcivescovo Giuseppe Molinari a «bere una sambuca». «Ma è per via di quel cognome», minimizza un giovane studente. Più avanti lo spazzolone messo di traverso impedisce l'accesso a una doppia stanza. «Abbiamo spazzato a terra e passato lo straccio», prosegue il Cicerone. «Abbiamo aperto la finestra ma'sto pavimento non s'asciuga mai. Qui dentro era pieno di roba. Abbiamo tolto tutto, ripulito e ci faremo una biblioteca». Altra porta, stesso corridoio, e altro scenario. Ragazzi e ragazze delle superiori se ne stanno rannicchiati coi libri aperti sotto il calore dei «funghi» piazzati in mezzo per stiepidire l'aria.
A SINISTRA. In questo asilo anche il bagno è a sinistra. Non è uno slogan ma è la verità. Il cartello indica che è stato «ripulito e disinfettato». Dentro, persino le piastrelle azzurre hanno ripreso in parte l'antica lucentezza. Tornando verso la porta, a destra, s'incontra il dormitorio. «Qua se dorme. Non aprì», si legge all'ingresso. In rosso qualcuno ha aggiunto «E non fuma'». Materassi per terra, con un mucchio di coperte sopra. «sai, la notte è freddo», dice chi ha sperimentato l'alloggiamento. E la sera che si fa? «Incontri culturali, dalla riforma Gelmini al progetto Tav, dai problemi della città alla privatizzazione dell'acqua».
PACE E AMORE. «Qui siamo aperti a tutti, questo è uno spazio per la città. Stanchi delle promesse vane dei politici ce lo siamo preso da soli. Il Comune ci ha tranquillizzato. Noi resteremo qui. Anzi, se c'è da riparare l'edificio lo facciamo noi. Ci sono, tra i nostri, anche tecnici e ingegneri impegnati nella ricostruzione», interviene un occupante più grande. «Pace, amore e libertà. La vita non è al centro commerciale. Tornate quando vi pare». Il portone dei dirimpettai di Vespa si chiude solo a notte fonda.
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