Niente candidati e simbolo Nel Pd è tutti contro tutti

Democratici ad alta tensione, il segretario Rapino diplomatico: diremo la nostra Ma neanche i sei commissari cittadini sono riusciti a trovare una soluzione

SULMONA. Il partito che ha stravinto le ultime elezioni amministrative e che governa l’Italia non sarà presente alle prossime amministrative di giugno. Sulle schede elettorali, infatti, i sulmonesi non troveranno il simbolo del Pd. Dopo commissarimenti, diatribe interne, sospensioni e due mesi vissuti continuamente sull’orlo di una crisi di nervi, nessuno – a cominciare dal segretario regionale – è riuscito a ricucire la situazione ormai fin troppo lacerata.

«Siamo convinti che la risposta giusta possa essere nelle aggregazioni civiche. Il Pd farà la sua parte», afferma il segretario regionale Marco Rapino, «in questi giorni ho chiesto al segretario provinciale e ai subcommissari di guidare il percorso per poter disegnare il quadro».

È questo il risultato finale al quale è giunto il massimo esponente regionale del Partito democratico alla fine di un percorso che ha portato alla “sparizione” dalla scena politica del primo partito di Sulmona. Tutto è iniziato con il commissariamento del circolo Peligno e la sospensione del segretario e consigliere Fabio Ranalli colpevole, secondo Rapino, di aver mandato a casa, insieme all’altro consigliere Alessio Di Masci, il sindaco Peppino Ranalli.

Un sindaco che, nel tentativo di risolvere i problemi sorti all’interno della maggioranza per alcune scelte non condivise da tutta la giunta, aveva strizzato l’occhio all’opposizione per isolare e zittire i componenti del suo stesso partito. Inevitabile la reazione, avallata anche dal segretario provinciale Mario Mazzetti. Poi il blitz con le dimissioni dei nove consiglieri comunali, tra cui i due del Pd, e il conseguente dimissionamento dell’amministrazione Ranalli. Da qui l’entrata in scena del segretario regionale Rapino il quale, dopo aver avocato a sé tutti i poteri, ha iniziato un percorso che si è rivelato un flop per il Pd. Prima il cambio delle serrature alla sede storica di corso Ovidio, poi la nomina di tre commissari – diventati sei nel giro di qualche giorno – con l’intento di arrivare più forti alle elezioni. In breve il naufragio del “progetto”e la decisione, con il partito dilaniato dalle contrapposizioni e con la scesa in campo di Bruno Di Masci, di saltare questa tornata elettorale e di chiudere il simbolo in un cassetto.

Claudio Lattanzio

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