Ospedale, parete crollata sotto il peso dell’insegna

13 Novembre 2013

Le difese: ma negli atti non c’è traccia di chi l’abbia prevista e progettata Chiesta l’assoluzione dei quattro imputati. Sentenza il 29 novembre

L’AQUILA. In dirittura d’arrivo la sentenza su presunte responsabilità nel crollo di un muro all’interno del San Salvatore nella notte del sisma. Il giudice unico Giuseppe Grieco ha fissato per il 29 novembre la data della decisione e ieri gli avvocati degli imputati hanno chiesto di assolvere i loro assistiti dall’accusa di disastro colposo. Si tratta di Gaspare Squadrilli, Michele Tundo, Domenico Cicccioppo e Luciano Rocco.

Ma, nel corso dell’udienza, è scaturito un aspetto di un certo rilievo. Infatti, perizia dell’accusa alla mano, il crollo dell’unico muro risulta imputabile alla sistemazione della pesante insegna che su di esso poggiava, insegna formata dalle lettere che compongono la scritta «ospedale civile».

Ma, ed è questa la stranezza, nessuno sa chi ha autorizzato la sistemazione dell’insegna e chi l’ha progettata. L’unico dato certo è che si tratta di un lavoro fatto una dozzina di anni fa. L’ospedale, va ricordato, fu aperto negli anni Novanta ma i lavori iniziarono nel 1968.

Comunque, nel corso dell’udienza di ieri, l’avvocato Augusto La Morgia, ha chiesto l’assoluzione di Ciccocioppo, affermando che nella veste di responsabile del cantiere, non avrebbe in alcun modo potuto sindacare le direttive del progettista precisando che le opere sono state fatte in ossequio alla prescrizione. La Morgia, dunque, ha parlato di accuse fragili. L’avvocato Ugo Marinucci, che difende Squadrilli, ha contestato l’imputazione di disastro colposo sostenendo che comunque nessuno è morto in ospedale in seguito al sisma e la struttura ha assolto al compito di salvare le vite di chi ci si trovava dentro, al di là dei gravissimi disagi per gli assistiti. Ha inoltre precisato, a supporto delle sue ragioni, che a fronte di oltre duemila pilastri solo 18 di essi hanno avuto delle lesioni.

Marinucci ha inoltre tenuto a ricordare che tutti i muri dell’ospedale regionale hanno tenuto, meno quello sul quale furono fatti i lavori per sistemare l’insegna. Lo stesso legale ha contestato l’accusa per la quale il muro in questione, che si trovava nell’edificio 3, era privo dei requisiti di ancoraggio alla struttura portante in quanto si tratta di una prescrizione prevista da una legge del 1974 mentre il progetto e l’avvio dei lavori risalgono di certo a un periodo precedente. Hanno chiesto l’assoluzione per i loro assistiti, Tundo e Rocco, direttore del cantiere e componente della commissione di collaudo, anche gli avvocati Cristiana Burgamazzi e Silvia Ricci adducendo motivazioni simili a quelle dei colleghi che le hanno precedute nelle arringhe. Il pm Fabio Picuti aveva chiesto, in una precedente udienza, un anno e mezzo di reclusione per tutti tranne che per Rocco, da lui considerato estraneo ai fatti.

Il tutto a fronte della requisitoria che fu durissima visto che parlò di «colonne realizzate a occhio» bollando un’opera pubblica conclusa dopo 20 anni dall’avvio dei lavori con una spesa che oggi sarebbe di cento milioni di euro. Anche se molte delle contestazioni sono cadute in istruttoria, con particolare riferimento ai danni subiti nell’edificio 10 del complesso ospedaliero. Una struttura che, purtroppo per gli utenti, si è sempre dimostrata poco funzionale. Comunque ieri il Comune e Cittadinanza attiva hanno ribadito le loro costituzioni di parte civile tramite i legali Domenico de Nardis e Massimo Costantini. L’udienza del 29 sarà dedicata alle repliche e alla sentenza.

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