Quando il fiume costruì la casa del pane

“Il viaggio e il racconto” fa tappa al mulino di Riolitto a Barete, dove nasce la farina per gli chef

di VINCENZO BATTISTA*

Non sappiamo bene com’è potuto accadere, non riusciamo a immaginarlo, ma sta di fatto che è stato il fiume Aterno, secondo alcuni racconti mitici, a costruire in una notte il mulino di “Riolitto”, a Barete. Il suo nome, un piccolo Rio così chiamato, che per magia si animò, divenne in un sortilegio una divinità che si era prima staccata dal fiume, ha lavorato poi il suo corso d’acqua aprendosi un varco solcando la pianura, e infine libera, la divinità, ha potuto raccogliere le pietre, una per una e unirle costruendo le mura e il tetto. Fino al punto che all’alba si è presentato così, come ancora oggi lo vediamo, un edificio rurale con tre cunicoli, a cavallo del corso d’acqua, in mezzo alla campagna: era diventato un mulino, avvolto dalla bruma del mattino, la leggera nebbia nel freddo dell’inverno aquilano. Certo, se così fosse, ci troveremo dentro Demetra, dea della terra e del grano (ce ne occuperemo a San Demetrio ne’ Vestini), invece ci viene incontro Franco Cavalli completamente avvolto dalla polvere di farina, con il volto, le labbra, le sopracciglia bianche, segno che il mulino sta lavorando, le sue macine in pietra frantumano il grano con un rombo che scuote l’opificio (“fabbrica del grano”) avvolto dalla nebbia di polvere bianca, questa sì reale. Si può tagliare a fette. Il catasto onciario di Pizzoli (documenti per il riordino fiscale del Regno di Napoli e la valutazione del patrimonio immobiliare), nell’anno 1754, cita il “molino per grano al Rio” e il canale di derivazione del fiume Aterno che porta l’acqua fino alle gallerie con volte a botte dove sono alloggiate, su un asse verticale le pale (ruote) che con la spinta dell’acqua danno il movimento alla coppia di macine in pietra, nel locale superiore. La pressione e lo sfregamento delle coppie di mole (una fissa e l’altra ruotante) macinano il grano raccolto nel “farinale” in legno di quercia, il cassone che infine raccoglie la farina. Questa in sintesi la magia, o meglio la meccanica di archeologia industriale (studio dei processi produttivi storici), comune a tutti i mulini dell’Aterno, che manda avanti ancora oggi, immutata nel tempo, la frantumazione dei cereali e la riduzione in farina. Alla distanza delle due mole (si può tarare) corrisponde il diverso grado di finezza della farina di grano, granturco e farro. Tanto sono ricercate, che uno chef emergente (cuoc’oste, si fa chiamare) che coltiva il grano a Fossa senza fertilizzanti, lo macina a “Riolitto”, per preparare poi le paste ammassate a mano fra tradizione e sperimentazione, da alta cucina d’autore. All’interno del mulino, un’infinità di immagini religiose. Ma dobbiamo togliere la polvere di farina per scoprire San Giorgio che lotta contro il drago, Sant’Antonio abate protettore delle campagne, crocifissi e santini della Natività posta a protezione del grano che si trasforma. E poi ferri di cavallo e pannocchie di granturco, contro il malocchio e le streghe: devono contare i chicchi, i grani, e sperare che non arrivi l’alba…

* docente e scrittore

(4/continua)

©RIPRODUZIONE RISERVATA