Ragazzina abusata a Sulmona, la criminologa Bruzzone: «Donne come un oggetto»

25 Ottobre 2025

L’intervista: «Adottati comportamenti aggressivi per esorcizzare la fragilità. E spesso si vive in ambienti familiari che legittimano l’abuso sull’altro sesso»

SULMONA. La paura di mostrarsi vulnerabili. Di essere poca cosa agli occhi della società. Personalità disturbate che fanno della violenza un mezzo per affermare il proprio “Io”. Narcisisti nati, che scelgono accuratamente le vittime: indifese, deboli, da plasmare a loro piacimento. Il caso di Sulmona va ad arricchire una bibliografia dell'orrore che non trova fine. Roberta Bruzzone, nota criminologa e opinionista, cataloga così lo stupro di una ragazzina di 12 anni. Uno scempio raccontato, con toni macabri, sulle chat Whatsapp: il terreno della gloria effimera.

Dottoressa Bruzzone, ci risiamo. Da dove ha origine questa violenza tra i giovanissimi?

«Gli adolescenti hanno una paura fondamentale, di mostrare le proprie vulnerabilità. Adottare comportamenti aggressivi, violenti è un modo per esorcizzare quella fragilità. La maggior parte di questi soggetti ha sviluppato personalità distorte. Rientrano in quelle che possiamo definire sfumature narcisistiche malefiche».

Ma il sesso rubato con una dodicenne. Non siamo al limite?

«Assolutamente sì, ma qui rientriamo in una sfera di tipo culturale. La maggior parte di questi soggetti non ha disturbi della personalità o posizioni psichiatriche conclamate. Semplicemente ha vissuto all’interno di un clima educativo familiare che legittima il ritenere la donna come un oggetto di cui abusare o a contatto con genitori incapaci di fare i genitori. Sono maschi all’ombra del patriarcato tossico. Il sesso diventa un’arma per umiliare, svilire e annientare la vittima».

Ma cosa scatta nella mente di questi giovani?

«La volontà di dimostrare il potere. Come dire: ti impongo la mia soddisfazione, scarico su di te un mio bisogno. Queste personalità temono che la propria fragilità emerga. E allora, infieriscono su qualcuno che deve soffrire».

Ma è aberrante...

«Lo è perché questi tipi di soggetti cercano sempre vittime inermi, le più manipolabili e suggestionabili per esorcizzare il loro essere inadeguati. L’aspetto più preoccupante è che se a quell'età sei in grado di commettere azioni di questo tipo, sei un predatore, difficilmente la tua indole muterà. La partita risulta già chiusa. Se a 16 anni stupri una ragazzina di 12, la tua strada è tracciata».

Il disagio giovanile cresce e si è preso la scena. Perché?

«È un disagio che non solo cresce, ma sta diventando la regola. Se non evolvi in quella direzione rischi di essere fagocitato dall’intorno. È il tema del mio prossimo libro L’epoca della rabbia, in uscita il 12 novembre. La dimensione narcisistica che permea lo sviluppo psicologico dei ragazzi».

E le famiglie dove sono?

«Spesso le famiglie non vogliono rendersi conto che qualcosa non va nel figlio, che sta diventando diverso da quello che immaginavano. Il fatto stesso di organizzare i propri temi sulla violenza, che emergono dalle conversazioni o che vengono pubblicati sui social media – una finestra aperta sulla mente di chi gestisce il profilo – deve far scattare l’allerta. I ragazzi mostrano gli interessi a loro più affini, a volte in maniera disfunzionale».

È sempre possibile controllare i sentimenti, anche se negativi?

«È possibile se qualche adulto te lo ha insegnato, ma se non accade non è facile. Il problema di quest’epoca è che si lasciano pascolare i figli in una prateria che si chiama angoscia. Il numero crescente degli episodi di violenza tra i giovani è proporzionato a quello dei genitori che avrebbero dovuto fare altro nella vita. Tutto, tranne i genitori».
E dicono di sì...

«I no non esistono più. I figli vengono portati ad essere dei piccoli imperatori: tutto è permesso e concesso in una scala valoriale sempre più debole».

In tutto questo dov’è il ruolo della scuola?

«Guardi, la scuola istruisce, collateralmente educa, ma educare deve essere una problematica familiare. Non possiamo pensare che la scuola sopperisca a modelli genitoriali inadeguati. Non è la scuola che deve dare ai ragazzi l’educazione. La maggior parte dei ragazzi che commettono questi atti non vengono da famiglie disagiate, non hanno una storia di povertà e degrado alle spalle. Tantissime storie riguardano famiglie apparentemente inserite con figli che, sulla carta, avevano tutti gli strumenti per seguire una traiettoria positiva».

La sfera familiare, quindi, resta la prima agenzia educativa?

«Questo il messaggio che deve passare. Pensare che qualcun altro debba farlo è una pretesa comoda. Bisogna insegnare ai propri figli a stare al mondo, a non essere una minaccia per se stessi e per gli altri, a gestire le emozioni negative. Stiamo affrontando una deriva genitoriale più che sociale. Non diamo sempre la colpa alla società, poi che sia complessa siamo tutti d'accordo».

Quindi, noi adulti dovremmo metterci più in discussione?

«I genitori dovrebbero fare i genitori, non gli amici dei figli. Solidi punti di riferimento. Gli amici se li cercano fuori. Se non lo sapete farlo, evitate di mettere al mondo figli che diventeranno pericolosi manipolatori».

Quanto influiscono la scena pubblica, le piattaforme social, l’emulazione?

«I ragazzi si ispirano a modelli negativi con più facilità. È chiaro che i modelli delle piattaforme sono in larga parte pessimi perché alla base c’è una carenza culturale. Un ragazzo cresciuto in maniera solida può guardare tutti i film e le serie violente che vuole, non diventerà mai un criminale».

Possiamo annoverare la violenza tra le nuove dipendenze?

«Non tanto la violenza, che è un mezzo per ottenere potere, nutrimento narcisistico. La vera dipendenza è il bisogno di avere potere sugli altri. I deboli che usano la violenza sono personalità distorte e si sentono adeguati facendo soffrire un altro essere vivente».

Sempre più minorenni compiono azioni violente: è il caso di inasprire le pene?

«Sono dell’idea che chi compie questi atti sia perfettamente in grado di valutarne le conseguenze. Sono per la punibilità parziale a 12 anni e piena a 16. L’impunibilità è una roba prettamente italiana: in America e in Inghilterra processano anche a dieci, dodici anni».

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