L’archeologo Torrieri: il recupero del materiale crollato non può prescindere da uno studio strutturale

Storia delle chiese svelata dal sisma

La selezione delle pietre fa emergere elementi inediti sull’età degli edifici

L’AQUILA. Dalla selezione e smistamento delle macerie nelle chiese storiche dell’Aquila emergono elementi nuovi su quelle che erano le strutture originarie. In ragione di questo, il percorso di recupero del materiale crollato in chiese come Santa Maria di Collemaggio, Santa Maria del Suffragio e Santa Maria Paganica, non può prescindere da uno studio strutturale. Di qui la necessità di affidare ad archeologi come Vincenzo Torrieri anche il coordinamento delle operazioni di rimozione. «Mettiamo in campo dei sistemi integrati di intervento», spiega Torrieri, «che comportano un investimento importante dal punto di vista economico e delle risorse umane, con esperti in grado di agire a colpo d’occhio lavorando anche in condizioni climatiche avverse».

Perché agire nelle chiese del centro storico spesso vuol dire lavorare in una struttura che non ha altro tetto che il cielo. «Abbiamo fatto i conti con ghiaccio, neve o semplice pioggia», continua Torrieri, «ma non abbiamo perso un solo giorno di lavoro». Una delle operazioni più complicate è stata quella che ha portato alla rimozione delle macerie di tutta l’area dell’altare. «Abbiamo assistito al crollo tout court del transetto», spiega, «per un motivo riconducibile a un intervento di restauro e consolidamento, condotto negli anni ’70. Un’azione che di fatto ha appesantito di cemento armato le nervature superiori tanto da causare la rottura dei pilastri portanti sotto l’effetto della compressione».

Ma dalla rimozione del materiale, per consentire il recupero delle opere d’arte, si può avviare uno studio alla ricerca di quella che era la pianta originaria della basilica. «La storia dell’Aquila», spiega, «passa per Collemaggio e dallo studio degli elementi architettonici possiamo apprendere informazioni interessanti in quanto, durante la ricostruzione della struttura, a seguito dei terremoti precedenti, sono stati utilizzati materiali recuperati dai vari crolli». Elementi a supporto della tesi che la navata originaria della basilica fosse ben più larga, con una struttura da tre a cinque arcate. Recenti azioni di recupero e consolidamento, secondo le indicazioni del vice-commissario ai beni Culturali, Luciano Marchetti, e delle soprintendenze, stanno interessando la chiesa di Santa Giusta di Bazzano.

Ma il complesso più danneggiato resta quello di Santa Maria Paganica. «Lì stiamo intervenendo utilizzando lo stesso nastro di separazione delle macerie», commenta Torrieri, «che ci ha portato alla riapertura di Santa Maria del Suffragio».

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