Studio dell’Ateneo sul rischio di salute mentale degli operatori della sanità

«È a rischio la salute mentale degli operatori sanitari, in prima linea durante l'epidemia di Covid 19». È quanto dimostra uno studio avviato dall’Università dell’Aquila, diretta dal rettore Edoardo...

«È a rischio la salute mentale degli operatori sanitari, in prima linea durante l'epidemia di Covid 19». È quanto dimostra uno studio avviato dall’Università dell’Aquila, diretta dal rettore Edoardo Alesse (foto), e Territori Aperti (Centro di documentazione, formazione e ricerca per la ricostruzione e la ripresa dei territori colpiti da calamità) in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. La ricerca intende valutare gli effetti psicologici dell’emergenza coronavirus sul personale sanitario – dai medici agli infermieri agli operatori socio-sanitari e anche il personale amministrativo – impegnato in prima linea nella lotta per arginare l’epidemia del virus. Recentemente è stato dimostrato che gli operatori sanitari coinvolti nella pandemia Covid-19 a Whuan e nella provincia di Hubei, in Cina, sono esposti a livelli elevati di eventi stressanti o traumatici, con un importante impatto negativo salute mentale, tra cui sintomi post-traumatici, depressione, ansia e insonnia. Sembra infatti certo che la pandemia e le attuali misure di restrizione, imposte per limitare i contagi, possono avere un impatto sulla salute mentale nella popolazione generale.
Ad oggi, tuttavia, non sono noti i tassi di incidenza delle manifestazioni psicopatologiche nella popolazione generale italiana, né i loro principali fattori di rischio nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria.
Dai primi dati analizzati dell’Ateneo aquilano, ben la metà degli operatori in campo contro il Covid ha disturbi derivanti dallo stress. In particolare sono stati inviati e raccolti 1387 questionari. Circa il 50% dei sanitari risulta avere sintomi post traumatici rilevanti, tra il 20% e il 25% ha una sintomatologia depressiva e ansiosa importante.
Tra i fattori di rischio, l’essere donna e la giovane età contribuiscono a tutti i tipi di sintomatologia, mentre il lavorare in prima linea aumenta il rischio di sintomi post traumatici. Avere un collega deceduto, ricoverato o in quarantena per Covid-19 aumenta il rischio di sintomi post-traumatici e depressivi. Come dire che le donne, con la loro maggiore sensibilità, accusano maggiormente lo stress derivante dal lavoro in prima linea.
Un’evidenza riscontrata anche nella popolazione più giovane, meno abituata a fare i conti con lo stress dovuto alla situazione. La ricerca dell’Università, inoltre, sembra dimostrare che i disturbi derivanti dallo stress attraversano trasversalmente il mondo: dalla Cina all’Italia in pochi, almeno tra gli operatori della sanità, possono dire di non dover fare i conti con la propria psiche in un momento tanto delicato. (m.c.)