Tribunali, la mobilitazione continua

Delusione ad Avezzano e Sulmona. I sindaci Di Pangrazio e Ranalli: strada in salita, ma la protesta non si ferma
AVEZZANO. Non ci sarà alcun referendum sulla nuova geografia giudiziaria, che avrebbe potuto salvare dalla soppressione anche i tribunali di Avezzano e di Sulmona. A deciderlo ieri, dopo un’udienza a porte chiuse durata poco più di un'ora, è stata la Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum abrogativo delle norme sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, comunque lascia un barlume di speranza. «La riforma va avanti», commenta la Guardasigilli, «ma ogni situazione ha una storia a sè e la stiamo focalizzando. Per il 95% dei casi, la riforma è andata bene, non sta creando problemi, per il restante 5% si tratta di situazioni da puntualizzare, cui porre correttivi». La riforma è entrata in vigore lo scorso 13 settembre, è stata voluta dal governo Monti e portata avanti dall'esecutivo Letta. Le nuove leggi prevedono di cancellare circa mille tra tribunali minori, sezioni distaccate di Corti d'appello e di giudici di pace.
«È un duro colpo per il nostro territorio»', afferma il sindaco Gianni Di Pangrazio, «continueremo la nostra battaglia per garantire quantomeno un'ulteriore proroga per i tribunali di Avezzano e Sulmona, considerando anche la situazione degli uffici giudiziari del capoluogo, che ancora fanno i conti con gli effetti del sisma del 6 aprile 2009».
Anche il sindaco di Sulmona, Peppino Ranalli, prende posizione. «C’è un senso di delusione e di forte rammarico», commenta, «per una decisione che nega la consultazione referendaria su un problema molto sentito dalla popolazione. Puntavamo molto sulla possibilità del voto popolare, ora la battaglia diventa più difficile ma non impossibile. L’importante è non abbassare la guardia e studiare da subito altre strade per evitare che il territorio del Centro Abruzzo perda un presidio importante di legalità e di giustizia come il tribunale». A chiedere il referendum abrogativo della riforma della geografia giudiziaria, per la prima volta nella storia, sono stati nove consigli regionali. Si tratta di Abruzzo, Piemonte, Marche, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Campania, Liguria, Basilicata e Calabria. Ma non sono bastati scioperi, occupazioni, fiaccolate e marce, di avvocati, associazioni di categoria, istituzioni e studenti. «La Consulta aveva tutti gli strumenti giuridici necessari per la pronuncia di ammissibilità», commenta l'avvocato Fabiana Contestabile, presidente del comitato territoriale pro referendum di Avezzano e coordinatrice nazionale, «pertanto riteniamo che oggi l’istituto referendario sia stato completamente svuotato di ogni contenuto. Ci si domanda se sarà ancora possibile, da oggi in poi, proporre un referendum su questioni di rilievo nazionale come quella presentata alla Consulta da 23 milioni di cittadini». Contestabile, a Roma per il verdetto della Corte, sottolinea come si sia trattato di una riforma voluta dalla magistratura e portata a compimento dai giudici della Consulta. «I nostri delegati», spiega, «hanno l’intenzione di valutare altri strumenti giuridici a disposizione a tutela dei nostri diritti, perché oggi il diritto alla giustizia di prossimità è stato negato a milioni di italiani».
Magda Tirabassi
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