Un poeta fra le macerie di Onna

Titos Patrikios ospite del Premio Bonanni: quel silenzio innaturale

L’AQUILA. Un premio che si conclude senza premi. E’ questa la notizia dell’ottava edizione del «Bonanni», il concorso di poesia che in pochi anni ha raggiunto livelli di qualità e notorietà che lo proiettano fra le più impornati manifestazioni culturali italiane. Ieri, durante la cerimonia finale, i vincitori delle passate edizioni hanno reso un omaggio in versi all’Aquila ferita dal terremoto. Ma se non c’è stata competizione poetica (per una scelta precisa dell’organizzazione), non è mancato l’ospite, che è il vero protagonista del «Bonanni» (dedicato alla scrittrice aquilana Laudomia Bonanni).

Quest’anno è toccato a uno dei più importanti poeti greci, erede quindi di una tradizione millenaria: Titos Patrikios sul quale la professoressa Liliana Biondi, componente della giuria del premio scrive: «La sua poesia è innanzitutto di riflessione, di pensiero sull’uomo e sull’umanità; una poesia che incarna davvero il significato etimologico - che è quello greco - della parola “poesia”, cioè “fare”; e il poeta costruisce i suoi versi su base etica, di valore, piuttosto che su quella metrica; sobri e misurati anche nella forma». Io non conoscevo Titos Patrikios. Non avevo mai letto un suo verso.

L’ho incontrato due giorni fa. Gli organizzatori del premio Bonanni (capofila Carispaq e Provincia) lo hanno voluto portare a Onna, il paese diventato simbolo della tragedia del sei aprile. Un luogo del dolore che resta tale anche dopo sette mesi. Oggi Onna non c’è più. Il borgo è un cumulo di macerie, cancellato dalla storia. A fianco è sorto il villaggio di legno dove gli abitanti hanno ripreso una vita apparentemente normale e dal quale possono guardare con un po’ di speranza al futuro. Titos Patrikios è un uomo di 81 anni, anche se ne dimostra meno. E’ un uomo che è passato attraverso le tragedie del Novecento e che interpreta la poesia come testimonianza, come possibilità di raccontare la storia di chi non ha più voce. Con lui e con alcuni amici di Onna venerdì sono tornato nel paese fantasma. Titos Patrikios appena messo piede nella piazza devastata ha guardato l’orrore e ha detto sommessamente: impressionante. Poi non ha parlato più, ha visto la catastrofe - intrisa di morte a ogni angolo - come solo un poeta può fare.

E poco più tardi, nella chiesa tenda ha pronunciato poche frasi (in ottimo italiano) che fotografano meglio di mille articoli di giornale il senso di quanto accaduto in quella piccola frazione al centro della conca aquilana. «Sono tre cose che mi hanno colpito dopo aver visto Onna» ha sottolineato Patrikios «la prima il silenzio del centro storico, un silenzio innaturale che fa rimpiangere quel rumore umano che a volte ci crea fastidio, ma di fronte a quello che ho visto è meglio avere a che fare col rumore del mondo che col silenzio della morte. La seconda cosa le finestre, che sono tutte aperte e che sembrano come occhi spalancati sul dolore. Poi le piccole cose della vita quotidiana buttate qua e là: una scatola, una bambola, un quaderno, una scopa, una bottiglia». L’attore Bartolomeo Giusti ha letto alcune poesie di Patrikios.

Una si intitola “Versi” e a sentirla ho pianto dentro. Eccola: «I versi sono come i figli/Crescono nelle viscere con rumori segreti/soffrono dentro di te, si ammalano/poi inaspettatamente si fanno grandi/ un giorno ti si rivoltano contro/contro di te che hai dato loro vita/ finché non se ne vanno per sempre/ e non sono più soltanto tuoi». A me non si erano rivoltati contro. Quella notte mio figlio aveva chiesto aiuto. Io non ho potuto fare nulla né per lui nè per mia figlia. E ora non sono più soltanto miei.