Valle del Giovenco Birindelli: una società come un reality show

L’ex terzino della Juventus: accettai la loro proposta perché avevamo l’accordo di avviare una scuola calcio

AVEZZANO. I tifosi juventini lo hanno nel cuore per anni di militanza da “soldatino” e per il cross che nella stagione 2002/2003 permise a Zalayeta di segnare e alla Juve di espugnare il campo del Barcellona in Champions League.

Più recentemente è grazie a lui se il calcio italiano ha vissuto un momento alto di etica sportiva, quando ha ritirato la squadra giovanile del Pisa dal campo a causa di intemperanze sugli spalti tra genitori.

Per uno così trovare il suo nome accostato, senza alcuna responsabilità personale, ai fondi neri di Finmeccanica e ai borsoni pieni di soldi che viaggiavano in direzione Svizzera non deve essere una grande soddisfazione.

Quello di Alessandro Birindelli è stato uno degli ingaggi più costosi della Valle del Giovenco targata Vincenzo Angeloni.

Che ricordi ha della sua militanza nella Valle del Giovenco?

«È stata una bruttissima esperienza, ero andato nella Marsica per poter avviare un progetto per una scuola calcio e un centro sportivo polifunzionale. Mi sono sentito abbastanza preso in giro e qui chiudo perché altrimenti non so cos’altro potrei dire. Cerco di prendere quell'esperienza come un bagaglio da portarmi dietro e che sicuramente mi servirà per le mie scelte future: prima di accettare delle proposte dovrò stare più attento».

Nessun segnale che ci fosse qualcosa di marcio dietro?

«Quando ho accettato non c'era nulla che facesse presagire quello che poi sarebbe accaduto. Io quelle persone le ho conosciute e dopo sei mesi pensavo di essere stato catapultato in una specie di reality show. Tutto un altro scenario rispetto a quello che immaginavo».

Che conseguenze ha avuto?

«Quell’esperienza mi ha segnato e mi ha fatto decidere di cessare l'attività agonistica. Mi ha lasciato l'amaro in bocca, Per chi ama lo sport è così. Se uno non ha vissuto quell'esperienza lì non può capire fino in fondo. Loro, i dirigenti, fino all'ultima ora dell'ultimo giorno hanno fatto in modo e maniera che sembrasse un momento passeggero di una situazione che invece ormai era segnata. Vedevamo che c'erano problemi, ma non fino a quel punto».

Che idea si è fatta del mondo del calcio e degli affari, soprattutto nel settore giovanile, dove si superano i limiti per costruire un campione?

«Io penso che ci sono due categorie di addetti ai lavori: gli educatori e gli istruttori da un lato, gli allenatori dall’altro. Purtroppo, nelle scuole calcio ci sono troppi allenatori che non riescono a far carriera con gli adulti e vogliono adattare le stesse regole con i piccoli. È un metodo che non va bene per i ragazzi, i quali devono imparare la cultura sportiva, le regole, i valori che non ci sono più. Attraverso quei valori si riesce a creare per loro una vita futura. Altrimenti, si vede la mancanza di rispetto nei campi di calcio e nella vita normale. Se non avranno spunti positivi nella loro crescita come si può pensare che nella loro vita adulta possano avere e trasmettere dei valori? Ci vuole più sinergia tra sport, scuole e genitori, le tre figure che hanno a che fare con il ragazzo. Io voglio conoscere anche il suo rendimento scolastico e so come pormi nei suoi confronti. Non posso farlo se non conosco la sua crescita e maturazione. Io, questo rapporto credo che debba andare di pari passo».

Che mondo del calcio è quello di oggi se un allenatore come lei che ha il coraggio di ritirare una squadra, viene addirittura punito?

«Io, grazie a Dio, ho fatto il mestiere che mi piaceva fare, mi ha dato tantissime soddisfazioni e sono libero di portare avanti il mio pensiero. Cerco di intervenire per migliorare qualcosa, ma se tutti facciamo proclami senza impegnarci negli atti pratici non cambieremo mai. Se c'è un’iniziativa da premiare, incredibilmente vengo punito. Eppure, il campionato ha una denominazione chiara: fair play. Delle due l’una: o si dimostra il fair play oppure non si spendono parole di questo tipo. Forse ci si dovrebbe fermare per capire se si è sbagliato oppure no. Io amo il calcio e siccome mi ha dato tutto è giusto che restituisca quello che posso».

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