LA FOTO DI CLASSE

A scuola con 'Nduccio missionario mancato

Scherzi, voti e aneddoti del comico più amato d’Abruzzo. I ricordi tra Pescara e Chieti

PESCARA. «Mi ritrovai alle Industriali dopo cinque anni di seminario tra medie e ginnasio. Fu come andare nel carcere di Saint Quentin». Ci ride Germano D’Aurelio, 62 anni, in arte 'Nduccio, cantautore e cabarettista abruzzese che di quel “carcere”, l’Itis Luigi di Savoia di Chieti, conserva al contrario legami e ricordi che gli consentono di elencare d’un fiato nomi cognomi e soprannomi della classe in posa.

Che anno era?

Aprile 1975. Quinta B Telecomunicazioni. L’Itis di Chieti era l’unico in Abruzzo a offrire questo diploma.

Come mai dal Classico alle Industriali?

Perché morì mio padre, avevo 15 anni. Era direttore di un’azienda agricola, prese un trattore con i freni rotti, nessuno glielo disse. Con cinque figli mamma si ritrovò sperduta. E mi richiamò “devi fare una scuola che ti dà la fatije. Io sono il terzo, unico maschio. Frequentavo a Roma il seminario della Pia società San Paolo, a San Paolo fuori le Mura, e dovetti lasciare. Mi iscrissi prima al Volta di Pescara, dove abitavo, e l’anno dopo alle Telecomunicazioni a Chieti.

Come la prese?

Bene, per me la vita ogni giorno è un’avventura. In realtà volevo fare il tipografo, dentro la Pia società San Paolo quella che stampa Famiglia cristiana, per tre ore al giorno lavoravamo nella tipografia. Ero bravo come correttore di bozze, mi sono letto 500 romanzi della collana Filo d’erba, testi di catechismo sociale, trattati di psicosomatica.

Perché il seminario, e come fu passare alle Industriali?

Volevo fare il missionario in Africa, mi aveva preso il sogno di Comboni. Ma i comboniani erano a Sulmona, e in prima media mia madre preferì dirottarmi dai Paolini a Francavilla, l’attuale Villa Maria. Dopo le medie andai a Roma e poi rientrai. Con una battuta diciamo che dopo cinque anni dalla chiamata mi accorsi che avevano sbagliato numero.

'Nduccio al Centro con la rassegna "stramba"
Il cabarettista 'Nduccio, all'anagrafe Germano D'Aurelio, movimenta la riunione di redazione del "Centro" con una rassegna "stramba" improvvisata: ecco il suo commento alle notizie del giorno, dai fatti nazionali fino alla cronaca di Montesilvano. "La cultura a Montesilvano? Una notizia falsa", scherza proprio lui che a Montesilvano ha fatto l'assessore alla Cultura.

In foto anche studenti con barba e baffi, e lei con il coltello. Che ci faceva?

Ci dovevo tagliare una torta. Per barba e baffi, all’Itis molti erano stati più volte bocciati, erano andati a fare il militare e poi erano tornati con una certa caparbietà a prendere il diploma. Scipione, per esempio, a 23 anni fece l’esame di Stato con il figlio in braccio. Ma a scuola erano tanti gli ultraventenni. Come Nicola Tamilia, oggi a Rai 3 Molise. O il compianto Leo Falco, Dino D’Alessandro.

A quanti anni il diploma?

A 20, perchè nel passaggio dal seminario persi un anno. Maturità tecnica in radio-elettronica con titolo di capotecnico delle telecomunicazioni. Sono uscito con 42-60. Sostenni l’esame nonostante la mattina del primo giorno fui ricoverato per una colica renale a seguito del freddo preso la sera prima durante uno spettacolo.

Già faceva spettacoli?

Sì, a 20 anni stavo con un gruppo di Chieti, Aldo e la sua orchestra, i primi contributi versati, molto seri. Io facevo pezzi di Proietti, di Petrolini, monologhi miei. A quei tempi iniziai a scrivere il programma radio “Sotto la capanna”.

Nome d’arte già Nduccio?

Nduccio è nato proprio durante la scuola. C’era uno di Roseto, di un’altra classe, che mi raccontava sempre le storie di ’sto Nduccio, personaggio di Roseto. Alla festa del terzo iniziò, perché non fai Nduccio. Insistette tanto e alla fine feci Nduccio, un bidello che se la prendeva con i giovani.Fu un successo, con il preside Rocco Morgia che si asciugava le lacrime con il fazzoletto, per le risate. E decisi di mantenere il nome.

Soprannomi in classe?

Quasi tutti ce l’avevano. Scipione detto Papà, Mariano Di Muzio, oggi rappresentante di gioielli, dopo la scuola fece con me Radio 103 con il nome d’arte di Cristian Vanni. Michele Scorcia suonava la chitarra elettrica e lo chiamavamo Mike il re del liscio, Sebastiano Perla da Tollo era “PerQuo” per come parlava, Giuseppe D’Orazio, farmacista alla farmacia comunale di Chieti era Tronchetto, perché era curt’ e un po’ quadrato, Pietro Mancini, della merceria Livia a Chieti era Arsenico e vecchi merletti. Poi c’era Vincenzo Forcucci, avvocato, Giuseppe Melizzi, ingegnere di aeromeccanica a Torino, Vinicio Palumbo che sta alla biblioteca provinciale di Chieti, Carlo Di Muzio, detto Troccolo per la stazza, ha lavorato al ministero del Tesoro, Lorenzo Lamonaca dentista a Torrevecchia, Gino Iachini, il venezuelano, detto “lu maghe” perché si mise a fare il prestigiatore. Lavora in Telecom.

Quasi tutti avete trovato lavoro con quel diploma.

Praticamente sì. Io entrai alla Sip grazie al diploma, nel 1977, a 23 anni. Mi chiamarono il 13 giugno, non volevo accettare perché lavoravo tanto con gli spettacoli e mammà niente, siccome la chiamata era arrivata il giorno di Sant’Antonio mi fece accettare. Ero già in contatto a Roma con un po’ di situazioni importanti, Gherardo Gherardi, Missiroli. Mi cambiò la vita.

E i professori? Chi è quello in foto?

L’ingegner Gennaro Ambrosi, insegnante di Telefonia, telegrafia e disegno tecnico. Di Pescara, molto riservato e austero, lo chiamavamo pompe funebri, o seriosemiserio. Un simpaticone con noi. Con quei professori abbiamo vissuto anni di grande complicità, mentre fuori si verificavano spaccature notevoli tra una certa classe dirigente e benpensante e una gioventù in movimento, avevamo trovato il compromesso con loro: il sabato niente lezione, si andava con i professori a fare le scampagnate.

Da Pescara come raggiungeva la scuola a Chieti?

In autostop, nella “Simcamillo” di Gallo, la Simca Mille del professore di Radioelettronica Gianfranco Gallo, ingegnere di Pescara che ci prendeva tutte le mattine alle 7,40 all’Agip di via Tiburtina. Ma era molto preciso, se perdevi il Gallo delle 7,40 era finita. Ricordo anche l’ingegner Roberto Raciti, uno forte, era giovanissimo. L’ingegner Arturo De Pompeis, che il 25 fa 80 anni e lo vedrò, o come il nostro padre confessore che più ci ha cresciuti dal punto di vista morale, il professore di italiano Lucio Di Gregorio. Di Chieti. Gli assistenti tecnici Franco Vitale e Franco Sacramone, grandi radioamatori.

Insegnanti donne?

Una sola, quella di inglese che per disperazione lasciò.

Perché, che facevate?

Non si può dire, vive ancora. Era una bella ragazza. Prima della sua lezione smontavamo la parte bassa della cattedra per guardarle le gambe, ma se ne accorse. Io poi facevo francese, non ci potevo neanche stare e quando mi chiedeva perché rimani, rispondevo “mi steng a impara’ qualcosa”.

E studentesse ce n’erano?

Una sola ragazza in tutte le Telecomunicazioni, Simona Coppa. Faceva la A, una sezione più educata.

Si scioperava?

Il primo che attaccava il manifesto al portone faceva scattare lo sciopero. Poi tornavi a casa e dicevi non sono andato a scuola per paura delle botte. Ma che botte. Un giorno il preside Morgia, grande riformatore, socialista illuminato, venne al bar e a spintoni ci fece entrare. Ci capitò pure un idraulico di Torrevecchia. “Dov’è la classe tua?”, E lui: “ma che classe, teng lu cantier’.

Un pescarese a Chieti. Problemi di campanile?

Mai pesato. Spesso è alimentato da qualche politico che ne trae i suoi vantaggi, L’odio è una grande risorsa. Ogni tanto, sì, qualcuno mi chiedeva: ma siete proprio tutti zingari a Pescara? Ma è chiaro, i chietini si fermavano alla Madonna de lu Foc, si impaurivano alla prima fermata dell’autobus e se ne tornavano a Chieti.

Qualche scherzo?

Di tutto di più. Dall’estrazione di un dente in classe, che era un gessetto ma ci cascarono tutti, alla telefonata della bomba. La feci io, per evitare il compito di radioelettronica, e ci riuscii. Poi ci riprovai, ma la seconda volta chiamai prima, quando c’era solo il bidello. Pronto, c’è una bomba in istituto. E lui: ci sta la fr... di mammt’. E al compito furono tutti due.

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