Abruzzo, persi oltre 27mila posti
La regione soffre per la crisi ma resta territorio-traino del Mezzogiorno
PESCARA. Nel primo trimestre dell’anno l’Abruzzo ha perso 27.600 posti di lavoro: un numero impressionante perché è al netto del terremoto, che sarebbe arrivato di lì a pochi giorni. Sono quindi i numeri che registrano gli effetti della crisi sul sistema produttivo regionale. Li ha diffusi ieri lo Svimez, l’Istituto per lo Sviluppo del Mezzogiorno, estrapolandoli dal rapporto 2009 presentato qualche settimana fa.
Sono dati che si aggiungono e confermano quelli forniti in questi mesi da altri istituti: Istat, Banca d’Italia, Cresa, e che hanno spinto la giunta regionale a mettere in campo alcune misure anticrisi che andrano a regime entro il mese e a creare una task force composta dal governatore Chiodi, da due assessori e tre economisti.
Rispetto al dato dei posti di lavoro persi, è l’agricoltura a soffrire di più (-11.600), seguita dai servizi (-8.700) e dall’industria (-6.400).
Nello stesso periodo l’Abruzzo ha comunque registrato una caduta del Pil molto meno accentuata rispetto al resto del Mezzogiorno: -0,4% contro il -1,1% del Sud. «Non a caso», nota lo Svimez «con 21.662 euro contro 17.970, l’Abruzzo resta la regione meridionale con il più elevato livello di Pil procapite, che raggiunge l’82,4% di quello medio nazionale».
Riguardo alla mobilità per lavoro, lo Svimez nota che rispetto al resto del Mezzogiorno, l’Abruzzo è terra di pendolari più che di migranti: i 6mila partiti nel 2008 verso il Centro-Nord sono stati quasi compensati dai 5.400 rientri, mentre sono 21mila le persone che si spostano per lavoro fuori regione, ben il 4,1% degli occupati regionali (contro una media meridionale del 2,7%). Quasi uno su tre va nel Lazio, quasi uno su sette in Lombardia.
I pendolari abruzzesi sono soprattutto uomini (73% del totale), laureati nel 35% dei casi, impiegati nei servizi (72%). Oltre il 50% ha un livello professionale alto, il 93% lavora a tempo pieno, mentre 1 su 5 è precario.
Nonostante i dati della crisi l’istituto conferma nella sua analisi l’immagine dell’Abruzzo come “regione traino”. Lo Svimez divide la regione in due gruppi in base a una serie di indicatori: aree delle opportunità consolidate e aree delle opportunità distrettuali e industriali. Appartengono al primo gruppo L’Aquila, Teramo, Pescara, Giulianova, Castel di Sangro, Avezzano e Celano. «Qui la popolazione è in crescita», sototlinea lo Svimez, «gli abitanti hanno un livello di studio elevato, il tasso di occupazione è in linea con la media nazionale o addirittura superiore al Centro-Nord, il tasso di disoccupazione basso (7%), il livello di reddito (19.400 euro pro capite) superiore alla media del Mezzogiorno (14.500). Una situazione che accomuna questi comuni abruzzesi ad alcune importanti realtà turistiche della Sardegna (Arzachena, La Maddalena, Olbia, Santa Teresa Gallura e San Teodoro) e di altre regioni (Capri e Lipari)».
Fanno invece parte del secondo gruppo, quello delle opportunità distrettuali e industriali, Sulmona, Castilenti, Pineto, Penne, Popoli e la zona di Chieti, Vasto, Atessa, Guardiagrele, Ortona. «Qui prevalgono attività manifatturiere piccole e medie», spiega l’istituto, «ma anche realtà industriali più forti non sostenute da un terziario avanzato. Sono zone da cui si emigra, che sembrano offrire opportunità di lavoro non qualificato, come denota il tasso di attività superiore alla media meridionale unito alla diffusione di titoli di studio medio-bassi». Un discorso a parte è Pescina, classificata come zona di significative potenzialità turistiche che non riesce però a sfociare in livelli di reddito e occupazione superiori alla media».

Sono dati che si aggiungono e confermano quelli forniti in questi mesi da altri istituti: Istat, Banca d’Italia, Cresa, e che hanno spinto la giunta regionale a mettere in campo alcune misure anticrisi che andrano a regime entro il mese e a creare una task force composta dal governatore Chiodi, da due assessori e tre economisti.
Rispetto al dato dei posti di lavoro persi, è l’agricoltura a soffrire di più (-11.600), seguita dai servizi (-8.700) e dall’industria (-6.400).
Nello stesso periodo l’Abruzzo ha comunque registrato una caduta del Pil molto meno accentuata rispetto al resto del Mezzogiorno: -0,4% contro il -1,1% del Sud. «Non a caso», nota lo Svimez «con 21.662 euro contro 17.970, l’Abruzzo resta la regione meridionale con il più elevato livello di Pil procapite, che raggiunge l’82,4% di quello medio nazionale».
Riguardo alla mobilità per lavoro, lo Svimez nota che rispetto al resto del Mezzogiorno, l’Abruzzo è terra di pendolari più che di migranti: i 6mila partiti nel 2008 verso il Centro-Nord sono stati quasi compensati dai 5.400 rientri, mentre sono 21mila le persone che si spostano per lavoro fuori regione, ben il 4,1% degli occupati regionali (contro una media meridionale del 2,7%). Quasi uno su tre va nel Lazio, quasi uno su sette in Lombardia.
I pendolari abruzzesi sono soprattutto uomini (73% del totale), laureati nel 35% dei casi, impiegati nei servizi (72%). Oltre il 50% ha un livello professionale alto, il 93% lavora a tempo pieno, mentre 1 su 5 è precario.
Nonostante i dati della crisi l’istituto conferma nella sua analisi l’immagine dell’Abruzzo come “regione traino”. Lo Svimez divide la regione in due gruppi in base a una serie di indicatori: aree delle opportunità consolidate e aree delle opportunità distrettuali e industriali. Appartengono al primo gruppo L’Aquila, Teramo, Pescara, Giulianova, Castel di Sangro, Avezzano e Celano. «Qui la popolazione è in crescita», sototlinea lo Svimez, «gli abitanti hanno un livello di studio elevato, il tasso di occupazione è in linea con la media nazionale o addirittura superiore al Centro-Nord, il tasso di disoccupazione basso (7%), il livello di reddito (19.400 euro pro capite) superiore alla media del Mezzogiorno (14.500). Una situazione che accomuna questi comuni abruzzesi ad alcune importanti realtà turistiche della Sardegna (Arzachena, La Maddalena, Olbia, Santa Teresa Gallura e San Teodoro) e di altre regioni (Capri e Lipari)».
Fanno invece parte del secondo gruppo, quello delle opportunità distrettuali e industriali, Sulmona, Castilenti, Pineto, Penne, Popoli e la zona di Chieti, Vasto, Atessa, Guardiagrele, Ortona. «Qui prevalgono attività manifatturiere piccole e medie», spiega l’istituto, «ma anche realtà industriali più forti non sostenute da un terziario avanzato. Sono zone da cui si emigra, che sembrano offrire opportunità di lavoro non qualificato, come denota il tasso di attività superiore alla media meridionale unito alla diffusione di titoli di studio medio-bassi». Un discorso a parte è Pescina, classificata come zona di significative potenzialità turistiche che non riesce però a sfociare in livelli di reddito e occupazione superiori alla media».