Acqua, allarmi ignorati da 17 anni E nel 2024 l’emergenza c’è ancora

8 Settembre 2024

Nel 2007 una commissione di esperti metteva in guardia la politica: «La risorsa si ridurrà del 20%» Giovedì doppia seduta di commissione in Regione: sotto esame il piano dell’Acquedotto Pugliese

PESCARA. Era l’11 ottobre del 2007 quando una commissione sull’acqua abruzzese denunciava che «nel prossimo decennio è attesa una riduzione di circa il 20% delle risorse disponibili». E la commissione chiedeva ai vertici della Regione Abruzzo di fissare «il principio inderogabile dell’universalità del bene acqua e della gestione pubblica del servizio». Da allora sono passati 17 anni e l’Abruzzo ha sempre più sete: la coda dell’estate 2024 riserva ancora un’emergenza idrica destinata a proseguire tra siccità, portata delle sorgenti in calo e dispersione al 60% a causa delle condizioni delle condotte. E sul finire di questa estate si parla anche di un piano: dare l’acqua delle sorgenti del Tirino alla Puglia attraverso una conduttura lunga centinaia di chilometri. Il prossimo 12 settembre alle ore 11, si riuniranno in seduta «straordinaria e congiunta» a palazzo dell’Emiciclo all’Aquila le commissioni regionali Ambiente e Agricoltura per discutere delle case rimaste a secco e delle due risoluzioni per tutelare la sorgente Basso Tirino di fronte all'interesse dell’Acquedotto Pugliese, presentate una da Fratelli d’Italia-Forza Italia e l’altra dal Pd.
L’Acquedotto Pugliese ha in mano uno studio commissionato al Politecnico di Bari e all’università d'Annunzio di Chieti Pescara, pagato 100mila euro, che rivela: «Le acque della sorgente del Basso Tirino presentano interessanti prospettive di sfruttamento a uso idropotabile» con «capacità di captazione stimata di almeno 4-5 metri cubi al secondo», cioè 4mila-5mila litri al secondo. Nei giorni scorsi, l’Acquedotto Pugliese ha presentato due richieste, la prima all’Aca e la seconda alla Regione, per ottenere il permesso di analizzare l’acqua della sorgente Basso Tirino. Con le dichiarazioni, la politica si è schierata per il no: da giovedì in poi, si vedrà se accadrà anche con gli atti ufficiali.
Nel 2007, poco dopo la crisi idrica della Val Pescara con i pozzi Sant’Angelo a Bussi avvelenati dal pentaclorobenzene, quella commissione per la vigilanza e programmazione del servizio idrico integrato e per la tutela degli utenti parlava di «situazioni molto critiche» e di «più ombre che luci». Ne facevano parte il presidente Alberto Corraro, Lucio Ricci, Emma Zarroli, Vincenzo Retico e Augusto De Sanctis. Questo un passaggio della relazione finale di 31 pagine: «Gli Ato abruzzesi non hanno dato buona prova di sé; che la gestione del Servizio Idrico Integrato loro affidata dal 1999 sconta molti ritardi; che nella maggior parte dei casi esistono situazioni di grave squilibrio tra risultati attesi e raggiunti; che in fatto di gestione trasparente, efficiente, efficace ed economica si è fatto troppo poco». La commissione si appellava così alla politica per evitare un’altra emergenza: «Non ci sono ricette miracolistiche, invece occorrono politici che si sforzino di essere “proattivi”, di guardare cioè oltre il proprio mandato temporale, attenti e rigorosi nell’utilizzo degli scarsi fondi pubblici, determinati nel difendere il pubblico interesse a scapito dell’interesse di bottega». E invece non è bastato: ignorati allarmi e consigli. E poi: «È fondamentale», chiedeva la commissione, «ripristinare una vera e propria rete sociale che gestisca l’acqua, con chiari poteri e contrappesi che limitino le derive “privatistiche”, intese non solo come possibile cessione ai privati della gestione dell’acqua ma, allo stesso livello di degenerazione del sistema, di utilizzo del settore per scopi di gruppi di potere che perseguono interessi privati e non collettivi». In conclusione, la commissione chiedeva «una legge di riordino buona e trasparente come l’acqua».
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