Appalti e tangenti, nuova inchiesta in Abruzzo Pd e Pdl: "L'Abruzzo è un caso nazionale"

Legnini: alto tasso di indagini per reati amministrativi. Piccone: strascico di clientelismo
PESCARA.L'Abruzzo è l'unica regione italiana che abbia avuto per due volte il presidente della giunta arrestato: la prima (Salini) nel 1992, la seconda (Del Turco) nel 2008. E poi, sempre nel 2008, il sindaco della città più popolosa, Pescara, finito anche lui (D'Alfonso) agli arresti.
A questi arresti eccellenti ne vanno aggiunti altri. Ed altre inchieste che periodicamente coinvolgono la politica e gli apparati burocratici per reati contro la pubblica amministrazione. L'inchiesta che, ieri, ha portato agli arresti di sette persone e in cui sono coinvolti (indagati) anche l'ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, e l'attuale vice presidente della giunta regionale, Alfredo Castiglione, ripropone il tema del rapporto fra politica ed etica pubblica. L'Abruzzo sembra essere diventato un caso. Perché? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Legnini, senatore abruzzese del Partito democratico, e a Filippo Piccone, senatore e coordinatore regionale del Pdl.
«Io mi preccupo di due cose, soprattutto», dice Legnini. «La prima cosa è che la frequenza, credo al di sopra della media nazionale di reati contro la pubblica amministrazione, ha nuociuto e nuoce alla nostra regione sia al suo interno che all'esterno. Questa è la mia preoccupazione più forte. Non siamo una regione con un tasso di criminalità così alto, ma abbiamo questo alto tasso di contestazione di reati contro la pubblica amministrazione a poltici e non politici. Questa è una preoccupazione seria che ci interroga tutti e che richiede, da parte di tutti, la massima attenzione su ogni comportamento».
«La seconda riflessione che faccio è questa», prosegue il senatore del Pd. «Proprio perché non siamo una regione ad alta criminalità e vi è un numero molto elevato di procedimenti aperti, l'esigenza di avere sentenze celeri - che è una esigenza normale - nel nostro caso, è ancora più pressante perché abbiano bisogno di capire se, nella nostra storia recente, vi è stato un alto livello di inquinamento della vita pubblica oppure no. Tanto più che queste vicende sono oggettivamente idonee a determinare mutamenti di orientamento politico e di governo».
«Sì», aggiunge Legnini, «c'è un caso Abruzzo per l'elevato numero di procedimenti, e quasi nessuno di essi si è concluso con una sentenza. C'è un caso Abruzzo perché gli effetti politici e quelli negativi sull'opinione pubblica si producono prima ancora di poter appurare la verità. Il mio, quindi, è un giudizio molto preoccupato nel contesto di una posizione, che è mia ma è anche di tutto il Pd, di rispetto del lavoro della magiistratura e di un atteggiamento di garantismo vero e non peoloso verso le persone coinvolte quale che sia il loro orientamento politico».
«Sembrerebe che ci sia un caso Abruzzo», dice Filippo Piccone. «La qauntità di provvedimento lo fanno pensare. Ma prima di stabilire se il caso Abruzzo sia da ascrivere in capo ai poltici e non agli apparati tecnici bisogna aspettare la fine dei processi. Potremo dirlo solo quando avremo le sentenze di assoluzione o di colpevolezza. Onestamente, io non sono in grado di dire se esista. Al momento stiamo parlando di indiziati e di indagati: non ci sono sentenze definitive».
«Per quanto mi riguarda», prosegue il leader del Pdl abruzzese, «io vedo reminiscenze di una politica un po' troppo clientelare. Negare questo significa negare l'evidenza. C'è lo strascico di un'abitudine che si sta cercando di eliminare anche se non è sempre facile farlo. E' corretto, quindi, porsi la domanda ed è corretto cercare di fare un'analisi della situazione. A me sembra legittima e anche auspicabile una riflessione, ma la dobbiamo fare tutti. E' vero che c'è stata una forte attività da parte della procura, ma è altrettanto vero che oggi non siamo in grado di stabilire quanti di questi casi andranno a compimento con sentenze di colpevolezza».
«Quindi», conclude Piccone, «prima di connotare l'Abruzzo come una regione di delinquenti, mi sembra opportuno accelerare sul fronte delle sentenze anche per rasserenare i cittadini abruzzesi che cominciano ad avere qualche crisi di identità e a pensare di essere governati da delinquenti».
A questi arresti eccellenti ne vanno aggiunti altri. Ed altre inchieste che periodicamente coinvolgono la politica e gli apparati burocratici per reati contro la pubblica amministrazione. L'inchiesta che, ieri, ha portato agli arresti di sette persone e in cui sono coinvolti (indagati) anche l'ex sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, e l'attuale vice presidente della giunta regionale, Alfredo Castiglione, ripropone il tema del rapporto fra politica ed etica pubblica. L'Abruzzo sembra essere diventato un caso. Perché? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Legnini, senatore abruzzese del Partito democratico, e a Filippo Piccone, senatore e coordinatore regionale del Pdl.
«Io mi preccupo di due cose, soprattutto», dice Legnini. «La prima cosa è che la frequenza, credo al di sopra della media nazionale di reati contro la pubblica amministrazione, ha nuociuto e nuoce alla nostra regione sia al suo interno che all'esterno. Questa è la mia preoccupazione più forte. Non siamo una regione con un tasso di criminalità così alto, ma abbiamo questo alto tasso di contestazione di reati contro la pubblica amministrazione a poltici e non politici. Questa è una preoccupazione seria che ci interroga tutti e che richiede, da parte di tutti, la massima attenzione su ogni comportamento».
«La seconda riflessione che faccio è questa», prosegue il senatore del Pd. «Proprio perché non siamo una regione ad alta criminalità e vi è un numero molto elevato di procedimenti aperti, l'esigenza di avere sentenze celeri - che è una esigenza normale - nel nostro caso, è ancora più pressante perché abbiano bisogno di capire se, nella nostra storia recente, vi è stato un alto livello di inquinamento della vita pubblica oppure no. Tanto più che queste vicende sono oggettivamente idonee a determinare mutamenti di orientamento politico e di governo».
«Sì», aggiunge Legnini, «c'è un caso Abruzzo per l'elevato numero di procedimenti, e quasi nessuno di essi si è concluso con una sentenza. C'è un caso Abruzzo perché gli effetti politici e quelli negativi sull'opinione pubblica si producono prima ancora di poter appurare la verità. Il mio, quindi, è un giudizio molto preoccupato nel contesto di una posizione, che è mia ma è anche di tutto il Pd, di rispetto del lavoro della magiistratura e di un atteggiamento di garantismo vero e non peoloso verso le persone coinvolte quale che sia il loro orientamento politico».
«Sembrerebe che ci sia un caso Abruzzo», dice Filippo Piccone. «La qauntità di provvedimento lo fanno pensare. Ma prima di stabilire se il caso Abruzzo sia da ascrivere in capo ai poltici e non agli apparati tecnici bisogna aspettare la fine dei processi. Potremo dirlo solo quando avremo le sentenze di assoluzione o di colpevolezza. Onestamente, io non sono in grado di dire se esista. Al momento stiamo parlando di indiziati e di indagati: non ci sono sentenze definitive».
«Per quanto mi riguarda», prosegue il leader del Pdl abruzzese, «io vedo reminiscenze di una politica un po' troppo clientelare. Negare questo significa negare l'evidenza. C'è lo strascico di un'abitudine che si sta cercando di eliminare anche se non è sempre facile farlo. E' corretto, quindi, porsi la domanda ed è corretto cercare di fare un'analisi della situazione. A me sembra legittima e anche auspicabile una riflessione, ma la dobbiamo fare tutti. E' vero che c'è stata una forte attività da parte della procura, ma è altrettanto vero che oggi non siamo in grado di stabilire quanti di questi casi andranno a compimento con sentenze di colpevolezza».
«Quindi», conclude Piccone, «prima di connotare l'Abruzzo come una regione di delinquenti, mi sembra opportuno accelerare sul fronte delle sentenze anche per rasserenare i cittadini abruzzesi che cominciano ad avere qualche crisi di identità e a pensare di essere governati da delinquenti».
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