Arrestato il bombarolo in fuga: "Lasciatemi libero due giorni devo finire il lavoro" / Video

In manette Roberto di Santo, 58 anni, autore degli attentati incendiari nel pescarese e al tribunale di Chieti. Le sue prime parole: non voglio far male a nessuno datemi solo due giorni per concludere la mia battaglia a Roma
PESCARA. «Chiedo solo due giorni di libertà, per andare a Roma, a finire la mia azione contro l’ingiustizia sociale». Sulla necessità della sua battaglia Roberto Di Santo, il bombarolo di Roccamontepiano travestito da Robin Hood, ha tentato di convincere perfino i carabinieri che ieri lo hanno stanato e arrestato (nella foto di Giampiero Lattanzio) in un casolare di Rosciano poco prima delle 13. Sbarbato, dimagrito, e con i capelli rasati per metà del cranio, quasi a simulare un principio di calvizie, Di Santo alla vista dei militari ha tentato pure una fuga, ma è naufragata subito, appena ha capito di essere circondato.
Trucchi e viveri. Era nel suo camper, nascosto all’interno di un casolare abbandonato, lungo la provinciale che dalla rotatoria di Villareia porta verso Rosciano (in località Secca). È lì che l’impiantista di 58 anni in fuga dalla notte dell’8 gennaio ha passato i dieci giorni della sua latitanza, con una scorta di viveri che gli avrebbe consentito un’autonomia di altre settimane, con un televisione portatile da cui seguiva e registrava tutto ciò che lo riguardava, un gruppo elettrogeno, un pc e materiale informatico tra dvd, chiavette e fotografie e, ancora, prodotti cosmetici utilizzati per camuffarsi. Dentro il casolare, anche la bicicletta su cui era stato immortalato mercoledì pomeriggio dal cameraman di Rete8 Settimio Berardinelli subito dopo aver lasciato in tutta fretta un nuovo videomessaggio davanti alla sede dell’emittente televisiva di Chieti Scalo. Una latitanza, la sua, che sarebbe continuata con sfide sempre più ardite e in cui probabilmente Di Santo avrebbe alzato il tiro, come lasciavano presagire la bombola di gpl piena, sequestrata dagli investigatori nel capannone di Rosciano utilizzato come rifugio di riserva, a pochi metri dal casolare, e la pistola ad aria compressa senza tappo rosso ritrovata sempre a bordo del camper, con i piombini e la carica di gas per far partire i proiettili.
L’idealista. «Non volevo fare del male a nessuno» ha ribadito più volte l’uomo ai carabinieri del comando provinciale di Pescara , senza con questo mostrare alcun segnale di pentimento. Anzi, come ha riferito in conferenza stampa il colonnello Marcello Galanzi, affiancato dal comandante di Pescara Claudio Scarponi, dal luogotenente Giuseppe Minichilli del Nucleo radiomobile diretto dal tenente Salvatore Invidia, e dal capitano Livio Lupieri della compagnia di Chieti, Di Santo ha tentato di convincere gli stessi carabinieri sulla bontà della sua lotta, sostenendo che se avessero letto i suoi tre libri sarebbero stati sicuramente d’accordo con lui sulle modifiche da fare per riportare l’ordine sociale nel mondo.
Le ricerche. «Si è disfatto del telefono cellulare mezz’ora dopo aver incendiato la macchina dei vicini di casa in via Piemonte, a Villanova di Cepagatti», spiega il colonnello Galanzi. «La verità», sottolinea, «è che mai come in questo caso sono state decisive le indagini alla vecchia maniera, vale a dire i rastrellamenti e le innumerevoli battute fatte sin dal primo momento, partendo da un raggio di azione che abbiamo a mano a mano allargato. Nella zona del Megalò così come in quella di Roccamontepiano». Zone però piene di vecchie case e stradine che gli investigatori hanno battuto palmo a palmo, guidati anche dall’elicottero che proprio nella mattinata di giovedì gli ha consentito di notare il casolare di Rosciano che ieri mattina sono andati a ispezionare. Di Santo era proprio lì, all’interno del camper a cui aveva sgonfiato anche le gomme per riuscire a infilarlo nel locale dismesso chiuso con un telone verde e una grata.
La tana. Un posto, secondo gli investigatori, scelto con largo anticipo da Di Santo rispetto alla notte in cui ha iniziato la sua battaglia «contro l’ingiustizia sociale», prendendo spunto dalle beghe condominiali che la sorella aveva avuto con gli inquilini della trifamiliare di Villanova dove lei aveva acquistato l’appartamento al piano terra. Di fatto, è quanto basta a Di Santo, che stava ristrutturando quell’appartamento e aveva preso la sorella sotto la sua ala protettiva, per dare il via alla sua rivoluzione. Secondo gli investigatori, quando Di Santo mette fuoco all’auto dei vicini alle 4 dell’8 gennaio, lasciando il videomessaggio in cui indica l’ordigno che aveva allestito al piano terra della palazzina, sa già dove andare. È in quella stessa notte che va a nascondersi nel casolare di Rosciano, presumibilmente accompagnato da qualcuno (su cui sono ancora in corso le indagini), se è vero, come hanno riferito i vicini agli investigatori, che la Toyota Starlet della sorella in uso a Di Santo, e il suo vecchio camper vengono visti uscire in contemporanea dal cancello della villa.
Il rogo con la candela . È sempre da Rosciano che la sera del 10 gennaio sarebbe partito con la Toyota per andare a incendiare l’auto contro il portone del Tribunale di Chieti ed è a Rosciano che Di Samtp torna anche quando, tre giorni fa, incendia la casa famiglia di via Maiella, a Madonna degli Angeli, a Chieti, piazzando sul divano una candela che nel giro di tre ore si consuma e appicca il fuoco alla struttura, dando il tempo a Di Santo di andare a lasciare il suo dvd davanti all’emittente Rete8 in sella alla bici.
Le tre dita. Si sente forte, Di Santo, noncurante del fatto che in quel momento la sorella è proprio nella sede della televisione, a consegnare l’altro videomessaggio in cui il fratello annuncia nuove azioni, contro le carceri e contro chi non l’ha pagato. Sa bene, Di Santo che, come di fatto avviene, rischia di incrociare i carabinieri che si stanno precipitando a Rete 8. Ma il «bombarolo» se ne infischia e in sella alla bici fa pure il segno delle tre dita, simbolo della vittoria popolare. Lo stesso che ha ripetuto ieri, quando lo hanno arrestato per strage, incendi e danneggiamenti. È rinchiuso nel carcere di San Donato adesso. Rischia 15 anni.
©RIPRODUZIONE RISERVATA