Assalto alla gioielleria armi in pugno: arrivano le condanne, in due patteggiano ed evitano il carcere

Cepagatti, la rapina del 27 novembre scorso alla gioielleria Capitanio: Guido Spinelli è ritenuto l’organizzatore. (Nella foto, il tribunale di Pescara)
PESCARA. Finisce con una condanna con il rito abbreviato e due patteggiamenti il processo a carico di tre dei quattro rapinatori che il 27 novembre dello scorso anno assaltarono, arma in pugno, la gioielleria Capitanio a Cepagatti: il quarto uomo che prese parte a quella rapina, Luca Mancinelli, aveva già patteggiato 3 anni e 4 mesi di reclusione assistito dall’avvocato Pasquale Provenzano.
L’altro giorno, davanti al gup Francesco Marino, era invece la volta degli altri tre imputati coinvolti: Guido Spinelli, detto “Il bello”, ritenuto dagli inquirenti l’organizzatore della rapina; Fabio Carota e Vitantonio Gasparro. Quest’ultimo, assistito dall’avvocato Luca Pellegrini, ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato a 4 anni di reclusione, ma soltanto per la rapina, mentre è stato assolto dal reato di fabbricazione di un ordigno esplosivo. Gli altri due imputati, Spinelli (difeso da Pasquale Provenzano e Gianluigi Amoroso) e Carota (assistito da Manuel Sciolè) hanno scelto il patteggiamento, concordando con l’accusa una pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione che i difensori sono riusciti a tramutare in domiciliari e così, in base alla legge Cartabia, quando la condanna diventerà definitiva, non andranno in carcere ma sconteranno il residuo ai domiciliari.
Stando al capo di imputazione, su mandato di Spinelli (che avrebbe organizzato il colpo incaricandosi poi di monetizzare il compendio della rapina), Gasparro, Carota e Mancinelli, a bordo di una Lancia Y noleggiata, si recavano presso la gioielleria Capitanio a Cepagatti, presso la quale, circa un mese prima, avevano svolto sopralluoghi preparatori, stando almeno ai risultati delle indagini dei carabinieri. Carota, arma in pugno, e Mancinelli (come detto giudicato in precedenza), entrarono nell’esercizio commerciale e si impossessarono di diversi monili d'oro, «tenendo il titolare, Massimo Capitanio, sotto la minaccia della pistola, per poi, tutti dileguarsi a bordo dell’auto condotta da Gasparro che attendeva anche in funzione di copertura».
Le successive indagini degli investigatori, anche tramite intercettazioni telefoniche, permisero di inquadrare anche il secondo capo di imputazione che era riservato soltanto a Gasparro, in concorso con un altro personaggio per il quale la procura ha istruito un separato procedimento. I due avrebbero «fabbricato e quindi detenuto un ordigno esplosivo micidiale (bottiglia incendiaria munita di innesco e miccia tipo “molotov”", classificabile ai sensi della legge sulle armi». Secondo l’accusa, e in base alle intercettazioni, i due stavano pianificando un attentato per costringere un testimone a restare in silenzio. Ma evidentemente gli elementi dell’accusa, per quanto riguardava questo aspetto, non sono stati ritenuti sufficienti, e quindi, per questo secondo capo di imputazione, Gasparro è stato assolto dal gup per «non aver commesso il fatto».