Bussi, 27 indagati davanti al giudice

Rifiuti tossici e inquinamento dell’acqua, oggi l’udienza preliminare.

PESCARA. Ventisette persone compariranno oggi davanti al giudice per quello che la procura di Pescara definisce «un disastro ambientale di immani proporzioni». Al termine di una inchiesta durata quasi tre anni, il gup Luca De Ninis esaminerà alle 9 di questa mattina, durante l’udienza preliminare, la richiesta di rinvio a giudizio depositata nel febbraio scorso dal sostituto procuratore Annarita Mantini. Il pm chiama alle proprie responsabilità gli ex dirigenti di Montedison e Ausimont, oltre che una pattuglia di ex amministratori di Aca e Ato, su decenni di condotte definite «dolosamente omissive», emerse solo nel 2005, quando venne scoperto l’inquinamento dei pozzi di Castiglione a Casauria.

Nel marzo del 2006, la procura aprì un’inchiesta: un anno più tardi, il Corpo forestale dello Stato portò alla luce l’esistenza della mega-discarica di Bussi, 240 tonnellate: solo il primo di quattro siti inquinati, per un totale di quasi 100 mila metri quadrati, presenti sui fiumi Pescara e Tirino. Secondo la ricostruzione della procura, a partire dai primi Sessanta, a Bussi sul Tirino gli scarti dell’industria chimica furono smaltiti senza controllo, si accumularono anno dopo anno generando la più grande discarica abusiva d’Europa, stimata in 500 mila tonnellate di rifiuti tossici. Le analisi rilevarono nelle falde la presenza di metalli, idrocarburi aromatici e policiclici, agenti cancerogeni come clorometano e triclorometano: inquinanti come l’esacloroetano e il tetracloruro furono rilevati nelle acque potabili.

Gli otto pozzi realizzati dall’Aca a Colle Sant’Angelo, scrive il pm Mantini nel suo atto d’accusa, risultarono «irreversibilmente inquinati certamente a far data dal primo ottobre 2002, per la presenza di sostanze altamente nocive e tossiche per la salute dell’uomo (e in alcuni casi anche cancerogene)». I dirigenti delle industrie, sostiene la procura, sapevano. Ma il loro comportamento sarebbe stato improntato alla filosofia del «nessun rischio per l’esterno» e dell’«occorre non spaventare chi non sa». Sapevano, secondo il pm, anche i vertici di Ato e Aca, a partire dagli allora presidenti Giorgio D’Ambrosio e Bruno Catena, che avrebbero però «omesso l’accertamento» delle cause di sostanze inquinanti, con una «pervicace, sistematica, persistente e consapevole lettura riduttiva del fenomeno, pur dopo la scoperta della mega-discarica».