Caffè Venezia, 7 indagati per riciclaggio

La procura: impiegato nelle attività denaro proveniente dal clan pugliese dei Romito

PESCARA. A braccetto con la richiesta di fallimento delle 4 società dei Granatiero, la procura confeziona e chiude l'inchiesta che ha portato 5 mesi fa al sequestro (poi revocato) del Caffè Venezia. E mette nero su bianco le accuse di riciclaggio di denaro, impiego di denaro di provenienza illecita ed evasione fiscale che hanno coinvolto gli imprenditori di Manfredonia.

Il pm Gennaro Varone firma l'avviso di conclusione delle indagini, prodromico alla richiesta di rinvio a giudizio, certificando il legame a doppio filo tra la famiglia foggiana trapiantata a Pescara e il clan pugliese dei Romito, escluso dalla Corte d'appello di Bari ma rivalutato dalla procura di Pescara in base a intercettazioni, interessi comuni, testimonianze e incontri tra i due rami familiari avvenuti a Foggia e in un'occasione anche a Pescara.

E' da Manfredonia - attraverso Antonio Michele e Mario Luciano Romito - che, secondo l'accusa, sarebbe arrivato, periodicamente, denaro da reinvestire e destinato ai fratelli Michele Sebastiano e Pasquale Granatiero, considerati i reali dominus gestori delle attività economiche pescaresi e ai quali sono legati gli altri indagati: la sorella Rita Lucia Granatiero e suo marito Severino Prato, la mamma Antonia Grieco, Anna Brigida moglie di Sebastiano e il testimone di nozze di quest'ultimo, Giuseppe Prencipe, amico di famiglia.

Dopo i sequestri dei beni per 20 milioni lo scorso settembre, il successivo dissequestro e la ricostruzione delle contabilità, che avrebbe accertato debiti per 6 milioni di euro, Varone ha depositato la richiesta di fallimento per le 4 società dei Granatiero che raccolgono i locali sotto le insegne Caffè Venezia nell'omonima via e in piazza Salotto, il panificio Piglia la Puglia in via Venezia e il pub Piano Terra in corso Manthonè. Le società sono l'Ad Maiora snc; la Granatiero Ristorazioni srl, la Caffè Venezia srl e la Silvia srl.

L'inchiesta chiusa ora, esito delle indagini della finanza guidata da Mauro Odorisio e della squadra mobile diretta da Pierfrancesco Muriana, porta alla luce un complesso schema finanziario e di incastri societari nel quale il pm ipotizza che siano stati utilizzati «artifici patrimoniali e contabili per dissimulare la provenienza delittuosa del denaro» - riconducibile ai Romito «o, comunque, a soggetti in collegamento criminale con i Romito» - e per far risultare che «tale disponibilità avesse origine nei ricavi di impresa, ampiamenti insufficienti per consentire gli investimenti economici accertati, e nel credito bancario». Il legale dei Granatiero, Giuseppe Cantagallo, ha sempre respinto le accuse: «La Corte d'appello di Bari ha riconosciuto i miei clienti non riconducibili alla famiglia Romito, confermando le motivazioni del tribunale di Foggia». Dalla notifica dell'avviso, gli indagati avranno 20 giorni di tempo per dimostrarlo, prima che la procura chieda al gup di rinviarli a giudizio. (g.p.c.)

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