Cervi, daini e lupi in fuga dal Morrone in fiamme 

La testimonianza del pastore: «Ho visto cinquanta cinghiali correre a valle impazziti». E il faunista Pellegrini conferma: «Moltissimi animali sono morti arrostiti»

PRATOLA PELIGNA. «Quaranta, cinquanta cinghiali con le fauci spalancate correvano verso la piccola sorgente di Bagnaturo all'alba di stamattina. Mai visto in vita mia così tanti cinghiali insieme. Mai, su queste strade, così tante volpi come l'altra notte, erano cinque, sei, scappavano impaurite dal fuoco», racconta il pastore-custode Salvatore Di Pelino di Pratola. «Moltissimi tra mammiferi e piccoli uccelli saranno certamente morti arrostiti» commenta invece il faunista. Sul monte Morrone è l'inferno: uno scenario apocalittico.
L'incendio, tuttora in atto da una settimana, sta mandando in fumo circa settantamila ettari di territorio protetto dal parco nazionale della Maiella. In Valle Peligna, oltre all'aria diventata irrespirabile si temono perdite ingenti per la flora spontanea e la fauna selvatica, la biodiversità che abita il territorio.

Il pastore Salvatore Di Pelino

L’ULTIMA SENTINELLA DEL MORRONE. Salvatore Di Pelino, 70enne pratolano, pastore da sempre, è l'ultimo capraio rimasto, fino a un anno fa, a presidio del territorio col suo gregge di capre e pecore. Da giorni sta di guardia al fronte del fuoco che sta divorando il Morrone, la montagna di CelestinoV. Pelino è seriamente allarmato da quanto ha visto dai ruderi del castelllo di Pratola, postazione che comprende l'intero fronte che continua a bruciare: Colle di San Pietro con la chiesetta dove Celestino si ritirava a pregare, e il vallone dell'Avellaneto fino a Pacentro.
Racconta di aver visto branchi di “maledetti” cinghiali scesi a valle come impazziti, in fuga dal fuoco. Così lupi, cervi e caprioli, fuoriusciti dalla fascia pedemontana per mettersi in salvo dalle fiamme. «Gli animali si riversano sulla statale, un pericolo per chi viaggia nelle ore notturne fino alle prime luci dell'alba. Il disastro è totale» dice il pastore-custode. «Fino a Sulmona non vedi più piante: faggi, abeti, roverelle non esistono più, tutto carbonizzato. La flora è stata cancellata, la genzianella, il timo. Il polmone verde d'Europa è diventato la regione del carbone. Il vento sta spingendo la linea di fuoco verso Pratola e da diverse ore ormai non si vede arrivare un Canadair».

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ANIMALI MORTI ARROSTITI. «Più che parlare di animali a rischio direi che è una bella botta trattandosi di centinaia di ettari in fiamme. Dove è passato il fuoco ne hanno fatto le spese branchi di cinghiali, lupi, caprioli, scoiattoli, lepri, faine, ricci, rettili a spostamento lento». Massimo Pellegrini, faunista della direzione agricoltura della Regione Abruzzo, parla di «moltissimi morti arrostiti». Da non sottovalutare l'effetto indiretto dell'incendio, prosegue l'esperto. Vale a dire la distruzione dell'habitat e la compromessa possibilità di riproduzione per specie ornitologiche più pregiate presenti sulle balze rocciose della montagna abruzzese, come l'aquila reale, il falco pellegrino, il lanario, le coturnici. «Se c'è il fuoco volano via. Venendo a mancare la possibilità di predare scoiattoli, lepri e piccoli uccelli non sfuggiti all'incendio, rischiano di non riprodursi. Una perdita per il nostro ambiente. Si sposteranno finché possono in territori occupati da individui co-specifici, ma se la passeranno male». Specie protette a rischio? Pellegrini ridimensiona l'allarme: «I lupi frequentano regolarmente la vallata, Pettorano, Cansano, Pratola, Introdacqua, Sulmona. Sono animali elusivi, ma ora che sono spaventati dal trambusto sono più visibili alla popolazione, l'allarmismo è inutile. Quello che appare strano è l'orso ritrovato (e tratto in salvo, ndc) nel territorio di Pacentro: sul Morrone l'orso non è una presenza stabile».
«Gli animali, selvatici e domestici, capiscono da dove arriva il fuoco e si spostano, se non sono intrappolati», tranquillizza Nunzio Marcelli, presidente dell'Associazione regionale produttori ovicaprini, di Aversa degli Abruzzi.

TROPPA INCOMPETENZA. A parte i cavalli (anche da corsa, impiegati per la Giostra cavalleresca di Sulmona) per i quali gli allevatori peligni non lamentano problemi immediati, e qualche sparuto capo bovino di piccole fattorie residue, pastorizia e transumanza sono ormai un ricordo sul Morrone. La mancanza di ricambio generazionale e una burocrazia “certamente non incentivante” hanno costretto i pastori a vendere le proprie greggi. «Fino a trent'anni fa si contavano tre-quattro mila capi sul versante peligno del Morrone. Via i pastori finito il presidio del territorio, la capacità di resistenza» commenta Marcelli: «Il fuoco ha avuto campo facile per la presenza di arbusti ed erba secca che prima invece veniva pascolata. Premesso che c'è un interesse ad alimentare gli incendi e che l'emergenza è gestita con incompetenza», continua Marcelli, «appena avvistato il fumo dai focolai bisognava intervenire via terra, a piedi. Invece hanno chiamato la Protezione civile e atteso che arrivassero i Canadair. Uno spettacolo orrendo, non siamo più capaci di controllare il territorio. E la signora Dacia Maraini dà pure la colpa ai pecorai. Questi si chiamano moralisti sul sofà».

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