Che la festa cominci: fuochi e zeppole nel nome del padre

19 Marzo 2017

La famiglia cambia, si allarga, muta con l’affermarsi dei diritti omo. Ma in Abruzzo le antiche tradizioni restano

PESCARA. Nella tradizione il 19 marzo, Festa dei papà, è un giorno particolarmente luminoso. «Il dio solare entra danzando nel cielo» e annuncia la primavera. Per questo San Giuseppe è festa contadina per eccellenza, come testimoniano molti proverbi legati alla meteorologia con il santo protagonista. Il 19, infatti, arriva col sole in Ariete mentre i campi si liberano dalla neve e dal gelo (ma attenzione, dice un proverbio, San Giuseppe può arrivare anche con la barba bianca, come certi ritratti ci ricordano, e dunque con la neve). In ambito cristiano i primi a celebrarla furono monaci benedettini dopo l’anno Mille, seguiti dai Servi di Maria e dai Francescani. Nel 1621 Gregorio XV la estese a tutta la Chiesa. E nei giorni nostri, in Italia il 19 marzo è stato anche giorno festivo.

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Fino al 1977. Quando una legge fece cessare gli effetti civili della festività, assieme ad altre ricorrenze religiose come l’Epifania, l’Ascensione, il Corpus Domini e i SS. Apostoli Pietro e Paolo (ma se cercate negli archivi del Parlamento c’è sicuramente un disegno di legge che chiede di ripristinarle). Nelle intenzioni del legislatore, non fu un atto contro la Chiesa. Perché cessarono anche gli effetti di due festività civili importanti come il 2 giugno e il 4 novembre. Ma erano gli anni successivi all’austerity (uno dei primi vocaboli anglofoni entrati nel lessico comune) con le domeniche a piedi e la Rai che terminava le trasmissioni alle 22 e 45. Finita la stretta, l’imperativo era risparmiare ancora, e soprattutto lavorare. Dunque oggi è un caso che la festa di San Giuseppe capiti di domenica, e che il piccolo o la piccola di casa non possano esclamare «Papà è tornato!», presentando il “lavoretto” confezionato a scuola (quasi sempre un portapenne di cartone ancora appiccicoso di colla). Il papà oggi sarà già a casa. E lo sarà in maniera diversa da come lo fu il nonno e il bisnonno. Perché, come si dice, il suo ruolo è cambiato. I padri sono più collaborativi nell’accudimento dei figli (il cambio del pannolino è un tipico rito di passaggio) e nella gestione della casa («Oggi chi lava i piatti?»). E ci sono anche padri che prima non potevano esserlo, come i gay o i papà di figli nati da madri in affitto.

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Il tempo dunque passa e trasforma tutto. Ma le tradizioni resistono. Due i riti cardine di questa festa: i banchetti e i fuochi, assieme alle zeppole. Il banchetto è una tradizione soprattutto del Sud. In Abruzzo è celebre quello che si svolge a Monteferrante in provincia di Chieti, in ricordo, suggerisce l’antropologa Maria Concetta Nicolai nell’indispensabile “Abruzzo 150 antiche feste” (Edizioni Menabò) «della miracolosa apparizione che avrebbero avuto due famiglie del luogo, i Massa e i Berardinelli». Il banchetto si svolge in piazza, dopo la processione, e ad esso partecipano i personaggi della Sacra famiglia, con San Giuseppe a capotavola con tanto di bastone fiorito. Almeno sette le pietanze a base di paste, verdure, legumi, pesci. L’altro rito è l’accensione dei fuochi, di antica origine longobarda. Celebri quelli Sulmona nella grande piazza cittadina o quelli di Fara San Martino.

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Questi riti sono accompagnati dalla preparazione delle zeppole, le frittelle di S. Giuseppe, che pur variando nella ricetta da regione a regione, sono il piatto tipico della festa. Derivano da una tradizione antica risalente ad epoca romana e sono strettamente legate alla biografia di Giuseppe. Che, secondo la tradizione, dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, dovette cucinare e vendere frittelle per mantenere la famiglia in terra straniera. Una storia che in questi anni non ci suona affatto nuova.

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