CHIEDILO AD ARTURO
Questo racconto è tra i 15 in gara per il premio John Fante 2013. Oltre al titolo assegnato dalla giuria di qualità, sarà assegnato anche un premio dei lettori. Se vuoi far vincere questo scritto condividilo su Facebook, Twitter o Google+
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Mia madre non mi amava. Eppure non c'erano motivi per negarmi il suo amore. Prima di me mia sorella Perla. Dopo di me mio fratello Amos. Io Viola, mai Violetta solo Viola. Mia madre non mi amava fin dall'inizio.
Ho cercato di capire ma non ho trovato risposte. La mia era una famiglia borghese. Rispettabile. Religiosa. Colta. Io una bambina come tante, solo un po' piý triste. Mi diceva "per forza con quel nome". Ma il nome lo aveva scelto lei, imponendomi un destino dal colore viola come il mio nome.
Perla aveva capelli castani lisci e disciplinati, legati in una coda di cavallo. Amos era biondo aveva capelli morbidi, mia madre glieli lasciava crescere sulle spalle e ne aveva cura, preparava impacchi di camomilla per trattenere i riflessi dorati. I miei capelli erano neri ribelli, ingestibili, anarchici. Diceva "crescono come erbaccia". Me li tagliava cortissimi.
Crescendo non ho trovato strano legarmi a chi, refrattario ad ogni gentilezza non è stato mai capace di amore.
Un uomo biondo con gli occhi azzurri, cos“ sbiadito da farmi sembrare più nera, e più cattiva perché agli uomini biondi si perdona tutto anche l'imperdonabile. Il primo schiaffo non è stata una sorpresa, non mi ha lacerato il cuore, non mi ha straziato le carni. Era normale. Non era il primo, non sarebbe stato l'ultimo. Ci aveva già pensato mia madre. E la contabilitˆ era considerevole. Di quella triste conta ricordo la rabbia che saliva in superficie e tracimava in parole cattive, strillate. Portavano via tutto cancellando argini e paesaggi. Il nuovo conteggio arrivato con l'uomo biondo arrivava su una geografia ormai di macerie. Volevo solo sopravvivere. Sopravvivere ai resti di ciò che rimaneva. E su quei resti ho lasciato cadere la polvere. Una polvere fitta, opaca, necessaria a riempire gli spazi, colmare i vuoti, trasformare tutto in un deserto. Un deserto di polvere, dove avevo sepolto nella parte più remota la rabbia impedendole di affiorare in superficie. La mia salvezza. Così credevo.
In quel deserto ho abitato, mi sono nascosta e seppellita. Ho lasciato che la vita mi accadesse.
Ma la polvere è inaffidabile.
Alla fermata dell'autobus, sulla panchina era posato un libro. Mi sono guardata intorno, ma non c'era nessuno qualcuno lo aveva dimenticato, abbandonato. Affidato al caso. L'ho preso. Parlava di me. Di me che avevo trasformato i giorni in una operazione aritmetica: un'addizione: un giorno sommato ad un altro. Una sottrazione: desideri sottratti, diminuiti, anestetizzati. Una divisione: pensieri divisi, frazionati, ridotti a niente. Una moltiplicazione: sconfitte accresciute, ripetute. Raccontava del mio amore mancato. Del mio presente confuso e del futuro venduto a saldo. Nel libro ho ritrovato tutta la polvere, quella che avvolge ogni cosa, che si stratifica e rende pesanti i sogni, annulla i desideri, seppellisce le esistenze. Un deserto di polvere dove persino la morte è senza nome. Il libro mi ha restituito la mia immagine e ho visto la mia faccia. Non mi è piaciuta. Una Faccia senza sangue, tirata, preoccupata, smarrita. Una Faccia sbiadita come fiori strappati dalla radice e ficcati in un altro vaso. Dovevo andarmene da quella città. Dovevo andarmene dal deserto. Il deserto non poteva essere più la mia dimora, né la polvere la mia compagna. Sono andata via. L'uomo biondo e le sue mani non hanno potuto fermarmi. L'ho guardato negli occhi. Un altro schiaffo e un altro ancora. Ho continuato a guardarlo. Sentivo il dolore, un esercito di formiche sulla mia faccia, un dolore che mi lacerava la carne e mi riportava al mondo. Ho sentito un fiume in piena salire percorrere le strade del mio corpo, pungere alla gola e finalmente sciogliersi dentro gli occhi. Ho sentito le mie parole ferme contro di lui: "chiedilo ad Arturo, chiedilo alla polvere".
Sono andata via. Con me ho portato solo il libro, quello che qualcuno aveva gettato nella mia direzione. Ho preso una matita ho cancellato e riscritto: "A Violetta con amore".
Sono certa che Arturo mi perdonerà.
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