Ciclone, Di Febo indagato per falsa testimonianza

Ritrattata l'accusa contro Cantagallo, sotto inchiesta anche il braccio destro di Chiulli

MONTESILVANO. Il processo Ciclone, 32 imputati e sette società coinvolte, ha un figlio: è un'inchiesta della squadra mobile sull'accusa ritrattata in aula da Andrea Ferrante, per otto anni braccio destro di Bruno Chiulli, l'imprenditore della Green Service e testimone chiave della procura. Sono due gli indagati: insieme a Ferrante, c'è anche l'ex assessore Guglielmo Di Febo, imputato sia nel processo Ciclone che nel processo sulle assunzioni pilotate all'Azienda speciale. L'accusa è falsa testimonianza, un reato che prevede una pena da due a sei anni, peggio della corruzione.

Al centro dell'indagine, coordinata dal pm Gennaro Varone, ci sono le dichiarazioni di Ferrante rilasciate, prima, alla squadra mobile e, dopo, al presidente del collegio giudicante Carmelo De Santis: parole pesanti come macigni, tutte e due le volte.

«SOLDI IN BAGNO».
Ascoltato come persona informata sui fatti il 20 dicembre 2006, dopo le due ordinanze di custodia cautelare in carcere in carcere per Cantagallo, Ferrante raccontò il passaggio di soldi da Chiulli all'ex sindaco Pd con la consegna dei contanti nel bagno della piscina della sua villa: «Mi colpì un particolare», rivelò Ferrante ai poliziotti, «Chiulli prima di salire in macchina, parchegiata all'esterno, si recò da solo nel bagno antistante la piscina per poi riuscire immediatamente. Tale particolare mi incuriosì, tanto che chiesi a Chiulli la motivazione. Mi riferì in modo seccato: "Che non sai cosa sono andato a fare?". Ciò mi ha lasciato intuire che Chiulli avesse portato denaro a Cantagallo».

«PAURA».
Chiamato dalla procura a testimoniare al processo, il 29 giugno scorso, Ferrante è tornato sui suoi passi scagionando Cantagallo. L'ha fatto sotto giuramento: «Nel 2006 andai a casa di Cantagallo, con Chiulli e il padre di Cantagallo, per un preventivo su un impianto di irrigazione. Alla squadra mobile ho dichiarato di aver visto Chiulli entrare nel bagno della piscina e uscire subito dopo, ma non è vero. L'ho dichiarato per paura: Chiulli mi raccontò che, in un'interrogatorio, aveva detto di aver pagato Cantagallo. Di mia iniziativa, decisi di compiacerlo. Non ho visto Chiulli entrare nel bagno».

INDAGINE.
Un'accusa ritrattata che ha portato il pm Varone a chiedere gli atti: ora l'inchiesta è partita e, insieme a Ferrante, è coinvolto anche Di Febo, uno degli ex amministratori ambizioso di tornare in Comune con le prossime elezioni. In base a quanto si è appreso, gli agenti della squadra mobile sono tornati a perquisire un ufficio di Di Febo: l'attenzione si è concentrata su un computer.

Durante la sua deposizione in aula, Ferrante non ha nascosto l'amicizia con Di Febo e non soltanto con lui: «Mi sento con Di Febo e Di Blasio (l'ex assessore Paolo Di Blasio, ndr). Cantagallo l'ho visto all'inaugurazione di un locale un mese fa». Per la squadra mobile, è vera la prima deposizione di Ferrante e, per questo, l'indagine ruota intorno a tre domande legate una all'altra: perché Ferrante ha ritrattato l'accusa? Esiste un mandante? E Ferrante ha avuto un tornaconto? Per la procura, c'è un altro dettaglio: Ferrante è nella lista dei testi a difesa di Di Febo, Di Blasio e dell'ex dirigente all'Urbanistica Rolando Canale.

UDIENZA.
In questo clima, alle 9,30 di oggi, il processo Ciclone torna in aula dopo una pausa di due mesi con l'interrogatorio del sostituto commissario Giancarlo Pavone da parte di Giuliano Milia, avvocato di Cantagallo. Previste le testimonianze del geometra comunale Mirko Parlione e dell'ispettore Costanzo Pastore.

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