Ciclone, il direttore di banca accusa in aula"Cantagallo versò 350mila euro in contanti"

Angelo Barneschi, il direttore di banca accusato di ricettazione: chiese un'operazione invisibile

PESCARA. L'ex sindaco Enzo Cantagallo si è avvalso della facoltà di non rispondere, l'ex assessore all'Urbanistica Attilio Vallescura ha fatto lo stesso e, così, tra i 7 imputati chiamati dal pm Gennaro Varone, il primo a sedere al banco per l'esame è stato il direttore di banca Angiolo Barneschi accusato di ricettazione insieme a Maria Chiola, la mamma di Cantagallo. Barneschi, imputato nel processo Ciclone con altre 31 persone, è l'ex direttore della banca Toscana di Montesilvano su cui, secondo l'accusa, sarebbero stati effettuati tre versamenti in contanti da Cantagallo poi dirottati verso una banca a Dublino: «Denaro provento di corruzione», dice l'accusa. E Barneschi ha attaccato la sua versione seduto a pochi passi dall'ex sindaco.

OPERAZIONE INVISIBILE.
«Cantagallo mi disse che aveva dei soldi di famiglia da investire ma che non voleva che lo sapesse la moglie da cui si stava separando», ha spiegato il direttore. «Voleva comprare una polizza vita e intestarla alla madre. Mi chiese se si poteva fare "un'operazione invisibile" proprio per tenere nascosti i versamenti alla moglie. Gli risposi che le operazioni invisibili non esistono in banca». Cantagallo versa in banca, tra il novembre 2001 e l'ottobre 2003, prima 200 milioni di lire, poi 51 mila euro e ancora 180 mila euro in contanti a cui aggiunge tre assegni per 10mila euro. Quasi 350 mila euro in contanti che spingono il pm a domandare: «Non l'ha trovato strano?». «No», ha risposto Barneschi, «perché mi hanno confermato da più parti che Cantagallo era una persona rispettabile e facoltosa. Non ho ritenuto di procedere all'apertura della procedura di un'operazione sospetta. L'ex sindaco ha rispettato la procedura per le operazioni sopra i 20 milioni di lire». Ma per la procura, quegli investimenti, sarebbero «il provento della corruzione» e il direttore di banca avrebbe ostacolato l'identificazione dell'operazione. Poi si è alzato, Barneschi, e ha presentato alcuni documenti sulla procedura lasciando il posto agli altri imputati che hanno risposto: l'ex assessore Guglielmo Di Febo e l'ex vicesindaco Marco Savini.

L'EX ASSESSORE.
Di Febo è uno degli imputati su cui pende l'accusa di associazione per delinquere e il suo esame è iniziato con la domanda del pm: «Ha preso soldi dall'imprenditore Bruno Chiulli?». «Mi hanno arrestato senza che io facessi nulla», ha detto Di Febo che, poi, ha risposto dicendo di aver ricevuto 5 mila euro per la campagna elettorale da Chiulli, «un mio caro amico». «Chiesi anche un contributo all'imprenditore Duilio Ferretti, un altro mio amico trentennale che mi diede 2.300 euro in contanti per le manifestazioni e che non erano collegati alla richiesta di declassamento del terreno». Di Febo ha ricordato di un pranzo: «L'ultima volto che ho visto Chiulli ero in un ristorante in viale Bovio. Qualcuno mi prese le mani e mi abbracciò. Mi sono voltato ed era Chiulli: rimasi scioccato, si è quasi messo a piangere, ha detto che mi voleva bene e che non mi ha accusato». Infine, l'ex vicesindaco Savini si è difeso: «Non ho mai percepito somme. I contributi per la campagna elettorale sono regolarmente registrati. Non ho mai chiesto soldi per fare un atto amministrativo».
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