«Cleria, per sempre una di noi». E le fiaccole illuminano Lettomanoppello

La comunità vuole trasformare la tragedia di un mese e mezzo fa in responsabilità e impegno collettivo. La donna oggi avrebbe compiuto 66 anni. Il fratello dell’uxoricida: «Non lo perdono, rimarrà solo»
LETTOMANOPPELLO. «Sono molto arrabbiato con mio fratello, non lo perdonerò mai. Rimarrà solo. Cleria era una donna santa, non meritava quella fine». Gli occhi umidi e il dolore infinito sono di uno dei fratelli di Antonio Mancini, l’uomo ora in carcere per aver ucciso il 9 ottobre, con un colpo di pistola, l’ex moglie Cleria Mancini nella piazza centrale di Lettomanoppello. Il paese, ancora sconvolto per l'accaduto, non la dimentica e ieri sera Cleria è stata ricordata prima nel corso di un affollato convegno organizzato dall’associazione “Donna e...” in collaborazione con Ananke e Comune e poi con una fiaccolata lungo le vie. Momenti scanditi da lacrime, preghiere e silenzio.
Il sindaco Simone Romano D’Alfonso, accompagnato dall’assessore Luciana Conte, ha scritto una lettera ai suoi concittadini: «Non siamo qui per riaprire ferite, né per aggiungere parole al chiasso che troppe volte accompagna il dolore. Siamo qui per onorare la memoria di Cleria e trasformare questa tragedia in responsabilità, consapevolezza e impegno collettivo. Cleria è madre, sorella, figlia, amica, e una donna a cui è stato tolto il diritto di vivere».
“Cleria siamo tutte noi”, lo striscione che campeggia sul balcone della piazza dove la donna ha perso la vita. Cleria oggi avrebbe compiuto 66 anni. «È un dolore che non finisce mai», la ricordano Anna Maria Di Lallo, presidente di “Donna e...”, Rita Pellegrini di Ananke, e le tante amiche di Cleria, sarta in una fabbrica di Scafa, prima ancor a Pescara, alcune delle quali ex compagne di scuola: «Non si lamentava mai, si teneva tutto dentro. Era dolce, gentile, una grande lavoratrice». Ha fatto da padre e da madre ai suoi due figli, Camillo e Angela, e adorava il nipotino, ieri sera presente in sala. «Era calma placida ma una tempra forte. Siamo morte tutte insieme a lei quando lo abbiamo saputo, nessuno immaginava un epilogo simile. Di lui diceva così: “che ci vuoi fare”. E lo ha assistito quando era malato e quando era in carcere».
Presente all’incontro, moderato da Annarita Frullini del Centro studi strategia di genere, il capitano Giuseppe Sicuro, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Pescara, che segue le indagini sul delitto, e che ricorda come in questi casi la vittima spesso non si renda conto della situazione in cui si trova, e sottolinea quindi l’importanza della rete formata da istituzioni, parrocchia e associazioni garantisca «per comprendere i segnali che possano aiutare le vittime».
Il parroco, don Davide Schiazza, gli fa eco e ribadisce che occorre andare alle radici del male: «Occorre contrastare innanzitutto il considerare "normale" una certa svalutazione della donna. È lì che la violenza può affondare le radici. È urgente aiutare le persone a restaurare l'idea di donna che non è " carne", ma persona dal valore e preziosità senza condizioni».
E soffre infinitamente l’amica di una vita di Cleria, Ernestina Di Biase, commerciante: «La sera dell’omicidio mi avevano mandato un messaggio “è morta Clelia”, ma il nome era sbagliato. Pensavo ad un errore. Poi ho riflettuto, non poteva essere vero. Non riuscivo a crederci. Lei mi diceva sempre che lui le inviava messaggi con le bare, le pistole e le bombe, ma non l’ho mai vista spaventata, solo demoralizzata. Lei, che si era sempre presa cura di lui».
L’assessore Conte: «Oggi vogliamo andare oltre la definizione di femminicidio, ricordiamo una donna meravigliosa, quella sera poteva essere una strage, c’erano bimbi sulle giostre. Da parte nostra abbiamo subito attivato il protocollo di emergenza degli psicologi per dare supporto ai piccoli». “Riposa in pace Cleria, sarai sempre con noi”, è uno dei tanti messaggi lasciati con il pennarello colorato prima che le fiaccole illuminino le vie del paese.
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