Ragazze aggredite e rapinate, a processo la banda dei bulli

Quattro amiche schiaffeggiate da un branco di 20enni che si avventano su scarpe griffate, borsa e cellulare. Gli autori identificati grazie alle telecamere e al racconto di un tassista: sono accusati anche di estorsione
PESCARA. Quattro amiche che pensavano di passare un sabato sera a Pescara per divertirsi nei locali del centro storico in corso Manthonè hanno passato, invece, ore da incubo, costrette a subire minacce e violenze da parte di un gruppetto di una decina tra ragazzi e ragazze senza scrupoli che le hanno prese di mira compiendo una serie di reati che vanno dalla rapina alle lesioni personali fino alla tentata estorsione. Quattro di loro (di età compresa tra 20 e 23 anni) sono stati identificati e ora sono sotto processo davanti ai giudici del collegio di Pescara dove si è appena aperto il dibattimento a loro carico (assistiti dagli avvocati Italo Colaneri, Antonella Silvestri e Vincenzo Brunetti).
Tutto è accaduto il 21 ottobre del 2023 quando le ragazze (una di Pescara, due sorelle che vivono in un piccolo paese del Pescarese e una di Silvi) si incontrano davanti a un locale per trascorrere la serata in allegria. Due di loro entrano nel locale mentre altre due si siedono su dei gradini lì vicino. Ed è allora che vengono accerchiate dal gruppo composto da due ragazze (una di Pescara, B.R., e una di Chieti, G.D.F., poi finite sul banco degli imputati) e altri sei-sette ragazzi (due dei quali, un kosovaro F.A., e uno di Chieti, A.D.F., poi identificati e anche loro ora sono a processo) che cercano di sfilare dai piedi di una delle due vittime le scarpe Nike, modello Jordan da 600 euro, senza riuscirvi. Uno degli aggressori allora si innervosisce e strappa la borsa (marca Versace) ad una delle due ma, una volta aperta, la getta verso la ragazza perché il contenuto non lo interessa. Nel frattempo, arrivano le altre due amiche e una di esse cerca di usare il telefonino per chiedere aiuto, ma il cellulare le viene strappato di mano e cade a terra e dalla cover escono fuori 25 euro: la vittima cerca di recuperare il tutto, ma uno degli aggressori è più veloce e si impossessa del telefono. E qui scatta l’estorsione: «Se vuoi riavere il telefono, domani devi portare 180 euro alla stazione di Manoppello». Un “riscatto” che sarebbe aumentato di 100 euro per ogni giorno di ritardo. Ma l’aggressione non finisce lì perché le ragazze cercano di recuperare il cellulare che gli imputati si passano di mano come fosse il gioco del “torello”. E anche le due donne del gruppo di aggressori sono piuttosto attive e questo accade quando, per sbaglio, il cellulare di uno degli aggressori viene fatto cadere da una delle vittime. E allora si passa alle maniere forti: una delle ragazze viene presa per il collo e schiaffeggiata mentre uno degli imputati strappa di dosso la felpa ad una delle due sorelle facendola cadere a terra. Una delle vittime cerca invano di comporre il numero dei carabinieri, ma viene sbattuta violentemente contro il muro, mentre un altro strilla: «Datemi tutti i soldi che avete... perché dovete prendere il taxi per tornare a casa quindi i soldi li avete» (le ragazze erano riuscite a chiamare un taxi che le attendeva poco lontane).
Un incubo che, per le quattro ragazze, finisce intorno alle 5.30 del mattino – era cominciato tutto quando erano circa le due del mattino –, quando il «gruppo selvaggio» si allontana ribadendo l’appuntamento per la restituzione del cellulare. Scatta la denuncia con la quale vengono indicati tutti i particolari dell’aggressione, compresa la richiesta di denaro per la restituzione del cellulare: in alternativa al pagamento in denaro viene proposto addirittura il «pagamento in natura». I carabinieri si appostano alla stazione di Manoppello dopo aver segnato una delle banconote, ma nessuno si presenta. Poi, gli investigatori prendono tutte le registrazioni delle telecamere presenti in zona per identificare i malviventi e viene ascoltato come testimone anche il tassista che conferma di aver dovuto attendere molto le quattro ragazze che poi sono giunte visibilmente spaventate: «Una di loro voleva andare dai carabinieri ma non era supportata dalle sue amiche. Mi sono permesso di intervenire dicendole che l’avrei accompagnata io dai carabinieri di Silvi, ma senza ottenere alcuna risposta. Inoltre, ho sentito le ragazze che tra di loro dicevano che avevano paura perché sapevano il loro indirizzo perché avevano preso i loro documenti». Ora, tutta la storia verrà ripercorsa davanti ai giudici il prossimo mese di dicembre.

