Dal Pescara al ko di Cardiff La lunga cavalcata del condottiero Max Allegri 

E’ mancata la ciliegina sulla torta. Quella Champions che lui insegue e che per la Juve resta un incubo. Ha sfiorato il Triplete, ci è andato vicino per la seconda volta nel giro di tre anni. Anche...

E’ mancata la ciliegina sulla torta. Quella Champions che lui insegue e che per la Juve resta un incubo. Ha sfiorato il Triplete, ci è andato vicino per la seconda volta nel giro di tre anni. Anche questa volta, come a Berlino, il secondo tempo della finale è stato fatale. Resta una grande stagione per la Juve e per Massimiliano Allegri, in particolare.
Il piglio è quello del condottiero evidenziato in tre anni su grandi livelli. Lucido e determinato. Ha un grande pregio il Conte Max: quello di farsi scivolare addosso le pressioni e di guardare dritto a quello che è l’obiettivo. Il contorno non gli interessa, è concreto. Pragmatico certo, ma con quel pizzico di genialità che è un valore aggiunto nel caso di Massimiliano Allegri. E’ lui la marcia in più della Juventus, quella che ha permesso ai bianconeri di continuare a vincere in Italia e di salire sul podio d’Europa. E’ lui che ha portato la Juventus a conquistare due finali di Champions League nel giro di tre anni con, in mezzo, l’eliminazione di Monaco di Baviera che grida ancora vendetta per come è maturata. Bada al sodo, lo fa sin dal primo giorno che è arrivato alla Juventus reduce dalla ferita sanguinante dell’esonero al Milan. Una pugnalata alle spalle di Berlusconi al quale aveva regalato lo scudetto due anni prima con Ibrahimovic. Ha un pregio il Conte Max: sa farsi accettare dai campioni anche se lui da calciatore non lo è stato. Ha conquistato lo spogliatoio del Milan prima e della Juventus dopo.
L’accoglienza. A Vinovo è entrato tra sputi, insulti e contestazione per il solo fatto di essere arrivato al posto di Antonio Conte che se n’era andato dopo il primo giorno di preparazione estiva, nel 2014. Lui freddo e asettico. E’ salito in corsa alla macchina bianconera, ha creato un’empatia con i giocatori e poi, un po’ alla volta ci ha messo del suo. Senza fare rivoluzioni.
La prima svolta. Il passaggio dalla difesa a tre a quella a quattro è avvenuta alla vigilia della sfida di Champions con l’Olimpyacos, decisiva ai fini della qualificazione. E’ stata la prima vera svolta tattica apportata da Allegri. Che ha continuato a vincere in Italia allargando i confini dell’impero all’Europa. Tre scudetti di fila. E poi un cammino continentale da grande squadra che porta inevitabilmente la sua firma. L’altra grande svolta è arrivata nel gennaio scorso dopo la sconfitta di Firenze quando varò il 4-2-3-1 schierando l’attacco a cinque stelle. Allegri è stato una mezzala talentuosa. Ama la tecnica. E così si è deciso a mandare in campo tutti i migliori: il suo capolavoro è stato quello di farli coesistere con un’organizzazione di gioco che garantisse anche l’equilibrio della squadra. Da quella mossa, da quella vittoria sulla Lazio ha preso la rincorsa per entrare nella leggenda in Italia e per arrivare a Cardiff.
Il leader. E’ un gestore di risorse umane come pochi. Non ha bisogno di alzare la voce per affermare il suo verbo. Basti pensare al caso Bonucci, a quando ha imposto alla società l’esclusione del difensore nella trasferta di Oporto, in Champions. Una mossa rischiosa ai fini del risultato (fu comunque positivo) sul campo, ma strategica nell’affermare il ruolo decisivo dell’allenatore. Bonucci con il tempo ha capito di aver sbagliato e lo ha ammesso pubblicamente. Allegri con quella mossa ha riaffermato il proprio ruolo. “Qui comando io”, il messaggio. Altro passaggio significativo è stato il turnover che ha permesso alla Juventus di arrivare fino in fondo alle tre competizioni. Mica facile. Durante la stagione gli è anche balenata l’idea di lasciare Vinovo. Ma l’ha accantonata nel momento in cui la società lo ha assecondato nella gestione del caso Bonucci.
Il pragmatico. Non è spettacolare, ma vince Allegri. “Ci si diverte al circo”, la risposta alle provocazioni sul bel gioco e la Juventus. Uno stratega, uno specialista nel preparare le partite. Un analista maniacale: abbina l’individuazione dei punti deboli dell’avversario all’abilità nel capire come approfittarne. E’ un figlioccio di Galeone, il prediletto. Il punto di riferimento del Conte Max che però aggiunge senso della concretezza. Tanto professionale sul lavoro quanto amante del cazzeggio. Gli piace divagare. “Non riesco a pensare 24 ore al giorno al calcio”, ripete spesso.
Il cuore a Pescara e... Vanilla. In Abruzzo ha vissuto alcuni degli anni più belli da calciatore. Ancora oggi il record di gol del Pescara in serie A è suo. Era un simbolo del Pescara di Galeone. Ha vissuto la Pescara godereccia degli anni Novanta. Dentro e fuori dal campo. Tanto per rendere l’idea di chi era Allegri basti pensare che il giorno prima del matrimonio ha piantato in asso la promessa sposa. Già, ma chi è il Conte Max? “Massimiliano non chiede, ottiene. Ha l’entusiasmo che gli gioca a favore, si sa far volere bene, è una persona semplice”, è la descrizione fornita da Vanilla Passariello il 29 novembre scorso al Centro, la donna pescarese che nel 1992 prese il posto della fidanza storica mollata pochi giorni prima del sì sull’altare. Una descrizione dell’Allegri uomo, ma che sta bene anche all’Allegri allenatore.
Gli allegriani. Allegri a Pescara, un feeling che è rimasto negli anni. Ha resistito all’usura del tempo, tant’è che almeno una volta all’anno è da queste parti. E’ qui che risiede il club degli Allegriani, ovvero tifosi della Juventus solo perché c’è Max in panchina. Amici e conoscenti disposti a seguirlo ovunque. Al di là delle bandiere. Quattro stagioni in biancazzurro, più di cento presenze. Con la città è stato amore a prima vista. C’è arrivato nell'estate del 1991 per le insistenze di Giusy Achilli, presidente del Pavia, che si rifiutava di cedere Massara al Pescara se nell'operazione non fosse stato inserito anche il livornese; Galeone aveva detto sì, fidandosi di una relazione di Federico Bonetto, diesse da poco licenziato; Pierpaolo Marino lo prese subito e fece la fortuna di quel Pescara. Nel giro di un paio di mesi aveva conquistato tutti, dal Gale che lo chiamava "Sentenza" per la sua schiettezza nel dire sempre le cose che pensava, ai tifosi che ne apprezzavano il talento, agli stessi compagni di una squadra. Il resto lo faceva la città, quella Pescara degli anni 90 che in parte non c'è più, che sprizzava voglia di vivere e passione, che non poteva non affascinare lo scanzonato livornese. Subito feeling.
I luoghi di Max. L'appartamento a due passi dal centro, prima al Parco degli Ulivi e poi in corso Vittorio; dopo il calcio l'aperitivo da Thomas a piazza Salotto, le cene con gli amici, a casa sua o in uno dei tanti ristoranti frequentati, la domenica sera spesso un salto all'Honey Pot, la discoteca di via Lago di Como di Giacomino Iannone; qualche puntata in sala corse per la Tris, l'estate la palma da Eriberto assieme al suo compagno di squadra Ubaldo Righetti. Nella seconda esperienza in riva all’Adriatico, dal 1998 al 2000, ha posto le basi per il salto dal campo alla panchina. Giocava poco con De Canio, ad esempio. E proprio in quei mesi cominciava a pensare alla seconda carriera, quella da allenatore. Da Pescara a Cardiff. E non è finita, perché Max e la Juve ci riproveranno: la torta bianconera ha bisogno della ciliegina-Champions per essere gustata fino in fondo.
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