D’Attanasio, l’appello: «Senza soldi né aiuti, datemi un alloggio»

9 Dicembre 2025

Il velista pescarese malato oncologico, rimpatriato 4 mesi fa: «Mangio e dormo alla Caritas, sto facendo la chemioterapia»

PESCARA. «Ho bisogno di un alloggio idoneo, necessario per affrontare questo periodo di cure. Una struttura, che sia un hospice o la stanza di un bed&brakfast, per poter seguire in maniera adeguata e senza ulteriori disagi questa delicata fase in cui devo sottopormi alla terapia chemioterapica. Dovrei anche essere assistito da una figura idonea, perché spesso non ce la faccio ad affrontare le giornate in solitudine. Mi sento particolarmente debilitato e ho l’impressione che le mie condizioni di salute stiano gradualmente peggiorando». Carlo D’Attanasio, velista pescarese di 56 anni, affetto da un cancro in stato avanzato e arrestato in Nuova Papua Guinea, lancia un appello forte alle istituzioni locali, al Comune di Pescara in particolare. Questo perché, dopo il ricovero di un mese al Policlinico Umberto I di Roma, dove è stato accolto quando è rientrato in Italia, il sistema integrato degli aiuti non è partito. «Inizialmente mi ero illuso del contrario», dice. «Dopo le dimissioni, però, non mi è stato assegnato un alloggio. Così, considerando la mia condizione economica svantaggiata, sono tornato a Pescara. La terapia, però, va seguita al Policlinico, quindi non è affatto facile viaggiare spesso nelle mie condizioni». E aggiunge: «Purtroppo, nulla ha funzionato ed io sono rimasto solo ad affrontare tutto questo». D’Attanasio, finito in carcere nel 2020 con l’accusa di traffico internazionale di droga, è stato liberato il 31 luglio scorso per mancanza di prove. Era arrivato in Nuova Papua Guinea in barca a vela ed è stato arrestato dopo lo schianto di un aereo sull’isola contenente 611 chilogrammi di cocaina. L’assoluzione è stata poi decisa dalla Suprema Corte di giustizia della Nuova Papua Guinea. Il 14 agosto scorso è riuscito ad atterrare a Roma Fiumicino, grazie al supporto dell’avvocato Mario Antinucci, che lo aveva raggiunto Singapore. Insieme con loro anche il medico Damien Hasola. Il ricovero al Policlinico è stato immediato.

Al momento D’Attanasio, dopo aver trascorso delle notti da alcuni parenti, sta dormendo negli alloggi della Caritas, dove può anche mangiare. Tre i pasti serviti durante il giorno nella struttura di via Alento. Il periodo di assistenza scade però il 17 dicembre. Poi non saprà dove andare. «Le difficoltà aumenteranno ulteriormente», dice ancora D’Attanasio. «Soffro già molto ora». Durante il giorno vaga per la città e nei giorni in cui va e torna da Roma in autobus, per via del trattamento, il suo malessere fisico aumenta. «Ripeto», continua, «avrei bisogno di una struttura, di un alloggio, che mi consenta di affrontare le giornate più dure».

Altro tassello di questa storia è rappresentato dalla residenza, al momento romana, per D’Attanasio. «Quando mi sono recato al Comune di Pescara, per illustrare la mia situazione e chiedere di essere assistito, è stato evidenziato questo aspetto», racconta. «Questione di burocrazia, quindi?» In realtà, questo è un problema marginale. Spiega l’avvocato Antinucci: «Basta veramente poco per risolvere quello che viene erroneamente definito un ostacolo. Il passaggio di residenza non può di certo bloccare le pratiche».

La difesa da parte del legale continua, quindi, a distanza di mesi dalla sentenza. «Al momento la situazione è precipitata», dice il legale, «pronto ad unire le forze per sostenere D’Attanasio. «Questa è una storia di diritti umani. Nessuno vuole polemizzare né criticare, ma siamo di fronte a una vicenda estremamente delicata. La cura sanitaria sta funzionando, ma senza l’apparato pubblico, il paziente rischia. Deve scattare la molla dei diritti sociali e civili. Di fronte a una situazione del genere, le istituzioni vicine possono e devono fare qualcosa per tendere una mano. Mi unisco dunque all’appello di Carlo D’Attanasio, affinché venga realmente attivata la macchina assistenziale. Poco dopo le dimissioni protette, la sinergia tra il sistema sanitario da una parte e quello sociale dall’altra sembrava potesse funzionare. E invece qualcosa è andato storto. Eppure in un Paese come il nostro, ci sono le condizioni per aiutare una persona in circostanze particolari. Tuttavia, in questo caso la burocrazia sta prendendo il sopravvento, impedendo un sostegno concreto».

D’Attanasio, che ha cominciato a combattere contro la sua malattia nel periodo più buio della sua vita, quando era in carcere in un Paese lontano, come la Nuova Papua Guinea, sembra non volersi arrendere. «Non ho mai chiesto aiuto, ma questa è una circostanza eccezionale», aggiunge. «Si tratta di una richiesta temporanea: un alloggio adeguato alle mie condizioni, per proseguire e completare il ciclo di chemioterapia. Poi dovrò sottopormi a un intervento e, dopo aver superato questa fase, sarò in grado di ricominciare. Ora però la mia battaglia è proprio questa: sconfiggere la malattia».