De Cecco, una storia di due fratelli: pasta, amore e un viaggio in Vespa. L’editoriale di Telese

Una vita insieme, in famiglia e in azienda: «Era il mio punto di riferimento quotidiano, il nostro è stato sempre un legame forte e speciale»
PESCARA. Questa è una storia di pasta e di amore, di un viaggio ribelle in Vespa, di un unico lontanissimo litigio, di un legame stretto come un nodo, un vincolo che non si scioglie neanche con la morte. Di un numero sbagliato. Questa è la storia di un fratello maggiore che saluta il fratello minore che se ne va. Questa è la storia di un uomo che mentre ricorda si sforza di essere sobrio, asciutto, pacato: ma ovviamente – a tratti – cede alla commozione.
Questa è la storia di Filippo Antonio De Cecco che ricorda il fratello Peppe con una frase che in fondo le riassume tutte: «Una vita insieme, in famiglia e in azienda: era il mio punto di riferimento quotidiano».
Quando inizia a ricordare, lontano da microfoni e televisioni, la mente del cavaliere della De Cecco corre indietro nel tempo: «Il nostro è stato sempre un legame forte, speciale, un vincolo di solidarietà profondo durato oltre sessant’anni».
Ecco perché il ricordo del presidente del Gruppo De Cecco, Filippo Antonio, fratello maggiore di Giuseppe Adolfo, diventa un ritratto vivido del fratello scomparso, che tutto il mondo conosceva come “Peppe”. Una orazione funebre privata, da consegnare alla storia pubblica. Il dietro le quinte della più grande industria pastiera del paese.
Ed ecco i motivi che spiegano un legame che dura una vita: «Il nostro è stato un rapporto specialissimo», spiega De Cecco, «per un motivo semplicissimo: non abbiamo mai avuto uno screzio vero, mai una rottura. Certo, i confronti non mancavano, a volte anche serrati, sulle questioni dell’azienda o su quelle di famiglia. Ma per me Peppe è sempre stato un punto di riferimento fondamentale».
All’esterno, nota Filippo De Cecco, poteva sembrare che la figura del fratello fosse incasellabile in uno stereotipo minore, quello dell’eterno “numero due” della storica azienda abruzzese.
«In realtà», sottolinea il presidente della De Cecco, «tutte le decisioni importanti che io ho preso in questi anni sono sempre passate attraverso il suo parere. Ci siamo sempre confrontati, su ogni cosa. Non è mai stato un numero due: era il mio interlocutore più autorevole, soprattutto nei momenti cruciali».
Uno di questi, racconta, riguardava la comunicazione pubblicitaria: «Scegliere una campagna è sempre una fase delicatissima. L’attore, il regista, l’agenzia, il tono del messaggio: nulla va lasciato al caso. E su questo Peppe aveva un talento naturale, una sensibilità che io stesso riconoscevo, considerandolo come la guida».
A testimonianza di questa visione e di questo ruolo resta un aneddoto esemplare, quello sull’intuizione che segnò la nascita della linea olearia De Cecco: «Vent’anni fa, quando decidemmo di entrare nel mercato dell’olio, fu lui ad avere l’idea che si rivelò vincente. La bottiglia squadrata, diversa da tutte le altre. La scelta era guidata da questa filosofia: più facile da impugnare e più pratica perché meno scivolosa. Una soluzione semplice e geniale che ha dato un segno distintivo anche alla nostra produzione di olio».
Poi, però, aneddoto dopo aneddoto, il Cavaliere passa all’album dei ricordi privati, ed ecco il dialogo di un episodio giovanile: «Forse l’unica volta che lo rimproverai fu nel 1966. Lui sparì di colpo da casa, e i nostri genitori erano in ansia: “Dov’è andato Peppe?’’. Scoprimmo che era partito in scooter da Pescara per Londra, per suonare con il suo complessino beat. Da fratello maggiore, spettava a me riportarlo a casa: partii, lo ripresi. E quello rimase l’unico episodio di vera tensione tra noi. Dopo di allora - dice il Cavaliere - la nostra intesa non si è mai più spezzata».
Accanto alla sua competenza e alla sua serietà professionale, nota a chiunque in azienda, Peppe aveva un’altra qualità che tutti gli riconoscevano: l’ironia. «Aveva una straordinaria capacità di sdrammatizzare. Nei momenti di tensione, davanti a decisioni complesse, sapeva trovare la battuta giusta. Anche nei passaggi più difficili riusciva a spezzare il silenzio e a restituire leggerezza. Anche nel reparto dove si curava e fino a due giorni fa riusciva», conclude Filippo Antonio De Cecco, «a trasmettere questa sua giovialità di carattere».
Il flusso di memoria per il fratello perduto giunge alla fine. Il tempo della memoria sta per finire, quello del lutto sta per Iniziare. Per questo Filippo Antonio conclude con emozione. La perdita di questo fratello minore lascia un vuoto profondo, un buco nero in azienda, in famiglia, nella vita di tutti i giorni: «Mi mancherà moltissimo. Sia come uomo d’impresa che come amato fratello. Proprio ora che stiamo avviando nuovi grandi progetti, perdo il mio più autorevole e importante punto di riferimento. Tuttavia, anche nel dolore, sono certo di una cosa: il suo esempio e il suo modo di essere», conclude Filippo Antonio, «resteranno parte viva della nostra azienda per sempre».
Questa è una storia senza numero due, perché la matematica dei cuori è diversa da quella dei luoghi comuni. Questa è una storia di pasta, di amore, di un viaggio ribelle in Vespa che si chiude con un abbraccio che sigilla un ritorno a casa, la storia di un legame stretto come un nodo, un vincolo che non si scioglie neanche con la morte. E della fabbrica di pasta più grande del mondo, che pensata e sognata da due fratelli, verrà battezzata dal più grande in nome di quello che non c’è più.
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