Pescara

Detenuto rischia di morire, il medico del carcere di Pescara è nei guai

27 Luglio 2025

Un 51enne va in gravissimo shock anafilattico dopo aver assunto un antibiotico. Il pm: “Farmaco somministrato nonostante la sua allergia fosse indicata in cartella”

PESCARA. Un medico in servizio nel carcere di Pescara è finito sotto accusa per aver somministrato un antibiotico a un detenuto allergico, provocandogli uno shock anafilattico che ha rischiato di ucciderlo. Il pubblico ministero Fabiana Rapino ha firmato il decreto per la citazione diretta a giudizio per l’udienza predibattimentale nei confronti di Gianpiero Pizzi, 42 anni, originario di Benevento e residente a Chieti. Il reato ipotizzato è «lesioni personali colpose gravi». Il caso arriverà il prossimo 8 ottobre davanti al giudice monocratico Nicola Colantonio. L’imputato, difeso dall’avvocato Angelo Nigrelli, avrà modo di fornire la sua versione dei fatti e respingere le pesanti contestazioni. La vittima, all’epoca dei fatti di 51 anni, assistita dall’avvocato Italo Colaneri, potrà costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento dei danni.

LA RICOSTRUZIONE La vicenda risale al 21 dicembre 2023. In quel periodo M.M. è rinchiuso nel carcere di San Donato. Sono da poco passate le sei del pomeriggio, in base alla denuncia, quando il detenuto si reca nell’infermeria dell’istituto penitenziario «perché affetto da verosimile infezione virale delle vie respiratorie, con particolare intasamento delle mucose del naso e mal di gola». Il medico presente quella sera (M.M. ricorda che fosse di sesso maschile e di età compresa, all’incirca, tra i 40 e i 45 anni), «senza dapprima raccogliere accurata anamnesi del detenuto», gli somministra «un farmaco con principio attivo di amoxicillina».

IL MALORE Subito dopo, il cinquantunenne torna nella cella che condivide con altri due uomini, i quali – è sempre precisato in denuncia – «per primi si avvedono delle precarie condizioni di M.M., che non riesce più a respirare e si accascia a terra». Sono momenti drammatici. Il farmaco, infatti, provoca «una reazione allergica con insufficienza respiratoria acuta»: il detenuto va in shock anafilattico e viene trasportato nel vicino ospedale di Pescara «con assoluta tempestività e urgenza». Il comportamento «negligente del medico, che all’evidenza non ha agito con tutte le accortezze e le cautele richieste dal compimento dell’incarico, non avendo minimamente accertato la preesistenza di condizioni cliniche incompatibili con l’assunzione del farmaco, ha esposto M.M. a un serio pericolo per la propria incolumità e salute». In altre parole: il detenuto vede in faccia la morte. Tant’è che viene ricoverato in ospedale e lì trascorre anche il Natale. Le dimissioni, con ulteriori cinque giorni di prognosi, arrivano il 27 dicembre.

L’INCHIESTA La querela presentata in procura fa scattare l’inchiesta. Il pm Rapino arriva alla conclusione che il medico del carcere ha agito con «imprudenza, negligenza e imperizia, in violazione delle raccomandazioni internazionali e delle buone pratiche basilari sulla somministrazione dei medicinali». In particolare, ha fatto assumere il farmaco Zitromax a M.M. nonostante nella cartella personale di quest’ultimo ne fosse segnalata «l’allergia grave». Durante la visita del detenuto, dunque, quella cartella – in cui risultava «un pregresso episodio di shock anafilattico dopo l’assunzione di antibiotico a base di amoxicillina» – non è stata consultata dall’imputato.

«NESSUNA CONSULENZA» Sempre in base alla tesi accusatoria, il medico non ha neppure effettuato, come richiesto dalle linee guida, «una consulenza allergologica/immunologica o una terapia di desensitizzazione», senza valutare un farmaco alternativo a base di molecole a effetto antibiotico appartenenti a classi diverse e senza informarlo sulla natura del medicinale che stava per fornirgli. In questo modo l’imputato ha causato a M.M. «lesioni personali gravi consistite in sindrome anafilattica di grado 4-5, giudicata guaribile in 21 giorni». Da qui l’aggravante «di aver commesso un fatto da cui è derivata una malattia che ha messo in pericolo la vita della persona offesa».

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