Di Santo, per il gip non c’è strage ma lo tiene in carcere

23 Gennaio 2013

Non ci sarebbero elementi per valutare la reale pericolosità dell’ordigno a gas allestito nella villetta di Villanova

PESCARA. Per il pericolo di reiterazione del reato e per il pericolo di fuga deve restare in carcere Roberto Di Santo, che però intravede una bella schiarita nel suo futuro giudiziario. Il gip Luca De Ninis che ha disposto la custodia cautelare in carcere («le condotte in contestazione evidenziano una personalità parossistica e dominata dalla ricerca istrionica di lanciare un segnale eclatante nei confronti delle istituzioni, espressamente dichiarata nei video di rivendicazione degli attentati»), in particolare per l’incendio commesso il 10 gennaio davanti al tribunale di Chieti, non ha convalidato il fermo per il primo episodio, quello dell’ordigno piazzato al piano terra della trifamiliare a Villanova di Cepagatti la notte dell’8 gennaio dall’impiantista arrestato per strage proprio in relazione al pericolo cagionato con l’allestimento di quelle due bombole di gas, che pure risultarono chiuse. Un reato, quello di strage, che prevede un minimo di 15 anni di reclusione ma che, con la motivatazione del giudice per le indagini preliminari, potrebbe venire improvvisamente meno per il 58enne che nei suoi undici giorni di latitanza ha tenuto con il fiato sospeso mezzo Abruzzo. Per il gip, infatti, «si tratta di condotta certamente dolosa ma, in mancanza di elementi relativi alla possibilità di propagazione delle fiamme allo stabile abitato o verso altre direzioni, non si ritiene di poter classificare tale condotta come incendio, ma solo come danneggiamento con pericolo di incendio: fattispecie che non consente l’adozione nè del fermo nè della misura cautelare richiesta dal Pm». Durante l’interrogatorio di lunedì nel carcere di San Donato, Di Santo, assistito dal suo legale, l’avvocato Alfredo Di Pietro, aveva infatti ammesso gli attentanti, sottolineando però che gli ordigni erano innocui, in quanto le bombole erano vuote: in sostanza, una messinscena, non voleva fare del male a nessuno, ma solo richiamare l’attenzione. È proprio sulla effettiva pericolosità delle bombole di gas che si gioca ora la partita tra difesa e accusa, tanto da poter prevedere che la Procura rdisporrà una perizia su quelle bombole per verificare se erano piene, e, di qui, la loro effettiva pericolosità. Di fatto, come sottolinea il legale del 58enne di Roccaomontepiano, «così cambiano molte cose, anche le nostre future scelte processuali».

Intanto si fanno sentire i proprietari del casolare di Rosciano scelto da Di Santo per nascondersi durante la sua latitanza. Si tratta della famiglia Ciancetta di Pescara che da almeno 15 anni ha messo in vendita l’immobile acquistato nel 1960 e teatro per tanto tempo di riunioni di famiglia e pranzi con gli amici. «L’ho vista fotografata sul Centro e mi si è fermato il cuore», racconta la signora Pina Ciancetta, «e dire che mio marito era passato a controllarla appena qualche giorno prima, e non vi aveva trovato nulla di strano. Purtroppo non riusciamo a venderla, ma è una casa bellissima, fatta a regola d’arte dalla stessa impresa che realizzò il palazzo del Governo di Pescara. Ha tanto terreno intorno, il forno, le stalle, ma sta lì, disabitata, mentre noi continuiamo a pagarci le tasse».

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