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Duplice omicidio, parla la ex del polacco ucciso: "Sognava di tornare a casa"

Chiara, per tre anni fidanzata di Arkadiusz, voleva aiutarlo a liberarsi dalla droga. «Aveva deciso di andare in comunità e gli avevo promesso che l’avrei aspettato»

PESCARA. Tutto per colpa della droga. Se nell’ultimo periodo Arkadiusz Miksza non era più lo stesso, è stato «solo a causa della tossicodipendenza, di cui non riusciva a liberarsi». Ma prima di allora «era un ragazzo magnifico, e anche di più. Era di cuore, sensibile, buono, profondo».

Vorrebbe gridarlo al mondo Chiara Schiazza, vent’anni, pescarese, ex fidanzata di Arkadiusz, il 22enne polacco ucciso domenica nella mansarda di via Tibullo 25 insieme alla madre Krystyna, 53 anni.

Chiara e Arek, questo il diminutivo del giovane (o Arka, come lo chiamava la madre), hanno avuto una lunga relazione, durata tre anni, e per due anni c’è stata anche una convivenza. Poi, però, lei ha scoperto della droga e le cose non sono andate più come prima, i due si sono allontanati. Ma la speranza di ricominciare come un tempo e di andare avanti insieme non si è mai affievolita.

Come vi eravate conosciuti?

L’ho visto in centro, sul lungomare. Mi ha colpito e gli ho chiesto di venire a bere qualcosa con me. Lui ha accettato e da allora non ci siamo più lasciati. Non parlava neppure l’italiano eppure mi ha conquistata immediatamente. Siamo stati insieme tre anni, abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto, e in quel periodo ho conosciuto un ragazzo che meritava tutto il bene del mondo. Non ha avuto una vita facile, era una persona fragile. Vorrei che si sapesse che non era solo un drogato, o uno che spacciava. Io ho visto in lui un ragazzo meraviglioso, questo si deve dire di lui.

Che cosa è successo tra voi?

Quando sono rientrata da una breve esperienza di lavoro fuori Pescara ho saputo, mi sono accorta, della droga. Prima di allora non ne aveva mai fatto uso. Ho provato ad aiutarlo, insieme alla madre e alla mia famiglia, e sia io che Krystyna siamo stati al Sert, nel tentativo di farlo smettere. Lui non voleva che io lo vedessi in quelle condizioni e abbiamo deciso di lasciarci, di allontanarci, di non sentirci, anche se in realtà siamo sempre rimasti legati, sentimentalmente, nonostante questa decisione, e ci siamo sentiti circa un mese fa. Lui aveva il mio nome tatuato sull’avambraccio.

Sareste tornati insieme?

Due settimane fa, all’incirca, sua madre mi ha annunciato che si sarebbe fatto aiutare, in comunità. Arek aveva accettato, aveva deciso di andare, e mi aveva scritto su Facebook. Ho ancora la nostra conversazione: «Promettimi di aspettarmi», diceva. E io avrei aspettato, certo che lo avrei aspettato, anche due anni, se necessario. Io e la madre ci speravamo davvero, lei aveva soltanto lui.

Che amici aveva Arek?

Aveva dei buoni amici, come Christian e Antonio, con la sua famiglia. E anche loro hanno provato ad aiutarlo.

E come è finito nel giro della droga?

Non so davvero cosa sia accaduto negli ultimi mesi. Credo sia stato per alcune compagnie sbagliate, forse alcuni connazionali. Tra stranieri si lega più facilmente. Aveva cominciato a frequentare dei brutti posti, come il Florida, dove circola la droga. Ma lui era un davvero un bravo ragazzo e ha sempre lavorato: come pasticcere, come muratore, e poi andava anche in giro per mercati.

Che progetti aveva?

Il suo obiettivo era di tornare in Polonia, dove siamo stati insieme per un mese, a Natale del 2014, dai parenti della madre, che sono persone meravigliose. Lì era contento, stava benissimo. Diceva di voler trovare un’occupazione e, con Krystyna, voleva andare via da qui. Poi non so cosa sia successo e chi abbia conosciuto.

Conosceva Maksym Chernysh, che ora è in carcere per il duplice omicidio di Arkadiusz e della madre?

Non l’ho mai visto, forse hanno stretto contatti nell’ultimo periodo, quando io non lo frequentavo più.

In questi giorni, è stata in obitorio tutti i giorni, nella speranza di vederlo per l’ultima volta ma per la riconsegna delle salme si attende l’arrivo a Pescara del fratello, che è atteso in città lunedì e che vorrebbe riportare i corpi in Polonia.

Sì, avrei voglia di salutare sia lui che la madre.

Che cosa le resta di lui?

La sua pacatezza, i suoi modi gentili, l’educazione e la bontà. Mi ha insegnato ad amare, cioè ad amare i pregi e i difetti di una persona. Mi ha insegnato ad amare nella quotidianità, nelle piccole cose, nei gesti spontanei. E soprattutto nei fallimenti. Cioè, ad amare incondizionatamente.

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