«Ecco come salvare la movida»

12 Agosto 2010

La ricetta di Severino: un progetto comune, non più locali improvvisati

PESCARA. «Quando una ragazza si faceva bella per venire a cena nel centro storico: questa è stata la stagione d'oro di Pescara vecchia. Quattro vie e, dico quattro, dove si beveva, si mangiava bene e si ascoltava un po' di musica. Quelle di oggi sono una brutta fotocopia del tempo andato». Severino Forcone, storico titolare della Lumaca in via delle Caserme, ha mollato tutto per andare in Romania dove ha un'azienda di import di prodotti italiani. Gli amici di una volta gli raccontano di quelle strade che quest'estate si sono svuotate e di locali i cui coperti sono scesi anche del 60%. «"Che dire?" Ai miei tempi non usava questo termine - movida - ma stare in compagnia», dice. «Non c'erano mica segreti per questa zona, se non un detto: trattare le puttane come signore e le signore come puttane». Dalla Romania, lo storico ristoratore ha immaginato quale potrebbe essere la nuova ricetta per tornare a riempire corso Manthoné.

Forcone, perché la movida è andata via da Pescara vecchia?
«Perché all'epoca, nel 1997, quando per la prima volta mettemmo i tavolini all'aperto, c'era un'idea di fondo tra noi ristoratori. Quella di creare un posto alternativo allo struscio della piazza; un posto per attirare persone che venivano qui riscoprendo le radici della città, mangiando e bevendo bene, accompagnate ogni sera da un piccolo concerto. Ma in quegli anni, qui, ogni giorno, c'era qualcosa da fare».

Come andò quella prima estate?
«I primi venti giorni furono un disastro, non c'era nessuno. Eppure mi dicevo: prima o poi la voce si diffonderà. E così successe ed ecco, in poco tempo, la fila sul ponte, il pienone a cena, gente che lasciava la macchina anche a due chilometri di distanza».

E oggi perché le strade sono vuote?
«Perché manca una proposta culturale ed enogastronomica forte, perché i gestori non sono uniti e, poi, si sa che c'è la crisi».

Che cosa portò al boom di allora?
«Un misto di qualità e intrattenimento. Quelli erano anni in cui i giornali dedicavano pagine al centro storico. E, poi, toccammo l'apice. Fu quando le ragazze iniziarono a pensare: "Adesso mi faccio figa per andare in via delle Caserme"».

Perché il centro storico non è più una vetrina?
«Perché sul mangiare e bere bene, ha prevalso il discorso commerciale. Questo è il problema: ragazzotti che si sono improvvisati imprenditori, che hanno investito 50 mila euro per aprire un localino, che hanno visto che potevano tirare avanti vendendo cicchetti a 2 euro e, a fine mese, si sono sfrusciati tutti i soldi e hanno chiuso. E questo ha fatto andare via la clientela classica».

E' la sicurezza, di cui si parla tanto, il male del centro storico?
«Anche noi facevamo continue riunioni per la sicurezza. Ma vedo che a distanza di più di dieci anni si parla sempre delle stesse cose. A me sembra ovvio che un posto in cui possono circolare anche 10 mila persone, abbia bisogno di un paio di carabinieri che passeggiano come deterrente».

Che suggerimento darebbe ai ristoratori?
«Di unirsi e investire. Noi eravamo pochi, ma collaboravamo. Oggi, invece, c'è troppa dispersione e, addirittura, si pensa che investire mille euro sia troppo. Invece quella spesa, che può apparire complicata da sostenere, gioverà per il futuro. E' importante anche che i gestori siano uniti perché se sono in tre, avranno almeno sette idee».

E a un politico?
«L'amministrazione facesse del centro storico il suo fiore all'occhiello. Non un fiore di plastica, ma almeno una gardenia. Il Comune lì ha tanti spazi, perché non li trasforma in aree per fare formazione artigianale? Penso a laboratori, a corsi d'arte».

Come si può salvare il centro storico?
«Senza fotocopiare il passato ma rinnovandolo con buone idee».

Un'idea per il centro storico?
«Andare da un banca locale e chiedere di sponsorizzare non un evento, ma l'intero centro storico».

Tornando a Pescara, qual è il centro storico in cui le piacerebbe passeggiare?
«Un posto tranquillo con i tavoli fuori, con le luci soffuse e la musica in sottofondo. Un posto dove andare a cena e poi spostarsi in un altro locale per bere una cosa: insomma una zona dove stare dalle 20 alle due di notte».

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