Fangopoli, a giudizio gli ex big di Aca e Ato

Pescara: D'Ambrosio e Catena sotto processo insieme a Di Giovanni e Di Vincenzo

PESCARA. Il giudice per l'udienza preliminare ricompone l'inchiesta sul traffico di rifiuti tossici picconata dal pubblico ministero, non concede sconti preventivi e affida a un tribunale collegiale il compito di accertare se imprenditori, amministratori e tecnici abbiano commesso abusi nell'appalto per la gestione del depuratore di Pescara.

Tutti a giudizio, a partire dagli ex vertici di Aca e Ato, e trasferimento degli atti all'Aquila - per incompetenza territoriale - per definire la posizione dell'ex sindaco di Navelli Paolo Federico, accusato di corruzione, e di altri due imputati per reati ambientali. Il primo febbraio 2011, verranno processati a Pescara l'ex presidente dell'Aca (Azienda comprensoriale acquedottistica), Bruno Catena; il direttore generale dell'azienda, Bartolomeo Di Giovanni; l'ex presidente dell'Ato (Ambito territoriale ottimale), Giorgio D'Ambrosio; il legale rappresentante della «Dino Di Vincenzo & C.Spa», Giovanni Di Vincenzo, il dirigente tecnico dell'Ente d'ambito pescarese, Alessandro Antonacci, e altre 15 persone tra imprenditori e agricoltori.

Le accuse, non uguali per tutti, vanno dall'abuso al falso, dalla truffa alla turbativa d'asta fino ai reati ambientali come il trasporto e lo smaltimento di rifiuti senza autorizzazione. Con lo stesso dispositivo, il gup Luca De Ninis ha, inoltre, respinto l'istanza di dissequestro del depuratore di via Raiale, nominando custode lo stesso Di Vincenzo al posto dell'Aca. I sigilli, apposti l'11 gennaio 2007, sono stati seguiti da un provvedimento analogo nel gennaio 2008.

L'indagine è partita nel maggio 2006 dagli appostamenti della Forestale davanti all'impianto di Navelli, dove arrivavano i camion carichi di fanghi provenienti dal depuratore di Pescara. Gli agenti guidati dal comandante Guido Conti hanno individuato i titolari delle ditte di trasporti coinvolte e indagato sui proprietari delle aziende agricole, scoprendo che quest'ultime sarebbero state al corrente del traffico illegale di fanghi, finiti anche fuori regione. In più occasioni, i fanghi avrebbero preso la strada di Marina di Ginosa, nel Tarantino, in un impianto di compostaggio non idoneo. Inoltre, parte dei materiali non trattati sarebbe stata smaltita sui terreni di due imprenditori agricoli dell'Aretino, in assenza dei requisiti previsti per l'uso dei fanghi in agricoltura. Ma il reato, secondo l'accusa iniziale sostenuta dal pm Aldo Aceto, ora gip a Larino, sarebbe stato commesso fin dall'appalto datato 2005.

I dirigenti di Aca e Ato, accusati di abuso, avrebbero favorito l'affidamento del project financing all'impresa Di Vincenzo e alla Biofert srl di San Giovanni Teatino, unite in un'associazione temporanea d'impresa per la gestione del depuratore. Antonacci avrebbe distorto «in modo fraudolento» la gara da 62 milioni di euro per la gestione ventennale del depuratore, allo scopo di favorire l'impresa Di Vincenzo, che aveva proposto il progetto per i lavori di adeguamento dell'impianto. Il profitto conseguito sarebbe stato pari a due milioni di euro «con correlativo pari danno dell'Aca».

Il pm Gennaro Varone, che aveva ereditato il fascicolo, aveva però chiesto tre mesi fa il proscioglimento - perché il fatto non sussisteva o non costituiva reato - dei big di Aca e Ato, dello stesso Antonacci e di Di Vincenzo sostenendo che tecnico e amministratori avessero agito senza alcun dolo intenzionale nella gestione del project financing. Il pm aveva chiesto che tutti venissero scagionati dall'accusa di abuso e, Antonacci, anche dalla turbativa d'asta. Secondo Varone, restavano in piedi, invece, il falso e i reati ambientali a carico di Di Vincenzo, nonché le accuse a carico degli altri 19 imputati. Tesi che però hanno fatto solo parzialmente breccia nel gup, che ha optato per il rinvio a giudizio generale.

L'inchiesta denominata «Fangopoli» avrà una coda all'Aquila, dove saranno inviati gli atti relativi a Paolo Federico. All'ex sindaco di Navelli è contestato il reato di corruzione per atto contrario a doveri d'ufficio. Secondo l'accusa, avrebbe favorito la Biofert ricevendo in cambio soldi e un tappeto persiano pagato 700 euro. (g.p.c.)

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