Fertilizzanti inquinati dimenticati da 5 anni

L’impianto Ecoest in via Tamigi, dopo un’inchiesta della forestale tonnellate di fanghi contaminati restano abbandonate al depuratore

MONTESILVANO. Sono dimenticati dal 2008 i fertilizzanti inquinati dell’Ecoest in via Tamigi: una montagna che, già 5 anni fa, faceva paura e avrebbe potuto «arrecare un grave vulnus all’ambiente». Oggi, con l’inchiesta Toxic country della forestale avviata su un binario morto, i capannoni all’interno del depuratore, quelli che i residenti di Villa Carmine riconoscono dalle lastre di eternit, restano pieni di fanghi alle sostanze tossiche: cadmio, zinco, rame e idrocarburi pesanti. Non fertilizzanti, finiti anche nelle aziende agricole del Chietino, ma «rifiuti speciali» che adesso nessuno vuole toccare. Perché sono una bomba ecologica e smaltirli costa un pozzo di soldi. Ma in 5 anni Montesilvano è cresciuta e, ora, i palazzi sono arrivati anche a un passo dai capannoni.

I fertilizzanti al veleno sono stoccati fuori e dentro i capannoni Ecoest all’interno del depuratore, un impianto comunale ma dal 2006 gestito dall’Aca: quando Giancarlo Soccio, responsabile del depuratore, cammina accanto al cumulo tossico, si capisce che la quantità abbandonata è davvero impressionante. Un muro alto più di 3 metri che quasi arriva al tetto dei capannoni e lungo più di cento. Tutto poggia su un pavimento industriale ricoperto da uno strato di percolato. Sulla parte dei fanghi che sta all’aperto l’erba cresce alta e verde; la parte stoccata sotto una tettoia e dentro i capannoni, invece, è diventata dura e secca come la pietra. Quando l’assessore Vittorio Iovine si è trovato davanti questa discarica è rimasto senza parole: Soccio se lo ricorda. E se lo ricorda anche Iovine: «Stavo facendo un sopralluogo al depuratore, un impianto che in linea di massima funziona abbastanza bene, ma non sapevo dell’esistenza di quella bomba», ricorda l’assessore di Sel, «e quando l’ho vista mi sono arrabbiato. Se dovesse toccare al Comune il compito di bonificarla andremmo in fallimento: con i vincoli del bilancio che ci ritroviamo, non possiamo permetterci niente. Ci vuole l’intervento della Regione o dello Stato».

Ma chi deve “svuotare” i capannoni di proprietà del Comune? Il caso Ecoest è al centro dell’indagine della forestale: l’impianto è stato sequestrato nel 2008, nel 2009 l’inchiesta è stata chiusa con due indagati e, nel 2010, è arrivato il dissequestro dell’impianto. È da allora che i capannoni sono sprofondati nell’oblìo. L’Aca è soltanto il gestore del depuratore: il proprietario è il Comune ma di mezzo c’è ancora il vecchio Considan, un ente in liquidazione. Ma il proprietario dei fanghi chi è? Il Comune o l’Ecoest? «È un problema che dobbiamo affrontare», dice l’assessore, «ma non sarà facile».

Dalle vecchie carte dell’inchiesta della forestale trasuda ancora allarme per la zona di Villa Carmine, la stessa che deve già convivere con l’ex discarica da 300 mila metri cubi di spazzatura a picco sul fiume Saline, con i rifiuti sotterrati fino a 5 metri di profondità lungo il corso d’acqua e con chi abbandona immondizia di notte. «Fanghi di depurazione che comunque non erano sottoposti ad alcuna attività di trattamento finalizzata alla produzione di compost», così c’è scritto su un documento di indagine che parla dello «stoccaggio dei rifiuti» come dell’«unica e vera fonte di guadagno della realtà in questione». La conclusione dell’atto è disarmante: «Appare evidente che la prosecuzione dell’attività illecita possa aggravare irreparabilmente le conseguenze dannose del reato arrecando un grave vulnus all’ambiente». Ma a distanza di 5 anni, i fanghi sono sempre lì. Come il percolato che rende scivoloso il pavimento industriale: «In più punti, sia sul piazzale sia all’interno del capannone di bio-ossidazione, sono stati rinvenuti notevoli ristagni di percolato», così recita il decreto di sequestro richiesto all’epoca dal pm Giampiero Di Florio e firmato dal gip Guido Campli. «Nella platea di cemento è stato rinvenuto un notevole ristagno di percolato, in quanto i pozzetti per la raccolta sono completamente ostruiti dal fango». Già nel 2008 i fanghi dell’Ecoest diffondevano «odori molesti nelle zone limitrofe»: i fanghi che dovevano essere scaricati in una vasca chiusa erano messi «all’aperto» e «il capannone, che dovrebbe essere tenuto in leggera depressione per evitare il diffondersi dei cattivi odori, presentava una parete danneggiata per circa 5 metri».

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