«Hai maglia e cappello della Lazio», ingresso negato al ristorante

1 Luglio 2025

L’incredibile vicenda raccontata da una famiglia romana in bici sulla riviera e diventata virale: «Il titolare ha detto che potevamo entrare solo se nostra figlia si fosse cambiata». Nessuna scusa

PESCARA. Una bambina di 11 anni indossa un cappellino della Lazio e la maglietta biancoceleste sempre della società di calcio di Lotito la cui tifoseria è ritenuta nemica di quella del Pescara.

Sono le 13 di domenica. E sotto quel caldo torrido la bimba, la sorellina e i suoi genitori arrivati da una cittadina romana si apprestano ad entrare in un ristorante della riviera. Ma un uomo, che sta sulla porta e che sembra essere il titolare, dice serio alla bambina: «Tu non entri con quel cappello e quella maglietta della Lazio. Te li devi togliere se volete entrare tutti quanti». Uno scherzo? Così hanno creduto in un primo momento gli stessi genitori. Salvo poi ricredersi al punto da dover andare via e pranzare da un’altra parte. Con il cappellino della Lazio addosso.

Una scena avvenuta realmente e che, così come è stata descritta sui social e stando anche ai commenti (tanti) negativi che ha raccolto, rovescia addosso alla città un’immagine negativa della sua vocazione turistica e dello spirito di accoglienza. Una storia diventata virale, un gesto che da solo fa più danni di tanti altri e rovina gli sforzi di qualsiasi campagna promozionale.

«Chiedo io scusa a nome di tutti, perché Pescara non è così», prova a dire il titolare del noleggio bici a cui la famigliola si era rivolta domenica mattina per poter fare un giro sul lungomare. E a cui poi nel pomeriggio ha raccontato ciò che è capitato. «Mi sono vergognato di quanto successo, mi sono vergognato per quel ristoratore. I turisti sono turisti a prescindere di quale squadra siano, dobbiamo farci dire come è bella Montesilvano o com’è bella Pescara. Per questo rivolgo di nuovo scusa alla bambina e alla sua famiglia».

Quel cappellino della Lazio ha evidentemente fatto riemergere nel ristoratore antiche e mai sopite rivalità fra tifosi. «Ma che cosa c’entra il calcio quando ci sono due bambine di mezzo e una famiglia che vuole solo pranzare e pagare al ristorante?», è la domanda ricorrente fra i commenti di condanna che si fanno largo sui social.

Da quel ristorante sulla riviera la famiglia racconta che era rimasta attratta dal buon profumo di frittura. «Poi abbiamo notato il proprietario che ci guardava e borbottava», raccontano i genitori: «Da lontano ci ha invitato a spostare le bici perché anche quelle erano di colore celeste, abbiamo sorriso e mentre finivano di mettere i lucchetti alle bici, nostra figlia si è avvicinata e il gentil uomo le ha detto che non poteva entrare nel locale perché indossava il cappello e la maglia della Ss Lazio». I genitori hanno sorriso, ma ricordano ancora quando quell’uomo ha ripetuto davanti ai clienti che «potevamo entrare nel suo locale solo se la bambina avesse tolto il cappello e cambiato maglia». «Non merita i nostri soldi, ma merita di sentire il bisogno di lavorare» è oggi il loro laconico commento. Mentre al ristorante della riviera, da noi rintracciato, hanno risposto e chiuso: «Non ci interessano queste cose». Così, senza neanche una scusa.