«Ho licenziato tre operai per lo stop al sansificio»

Lo sfogo del titolare Rocco Schiavone costretto a chiudere l’azienda per tre mesi «È falso che inquiniamo, siamo pronti ad azioni legali contro gli ambientalisti»

PESCARA. Ha vissuto quattro mesi da incubo. Da quando, nel dicembre dell’anno scorso, Pescara è stata invasa da una puzza nauseabonda. Ora però Rocco Schiavone, chiamato dagli amici Cristian, titolare insieme al fratello Alessio dello stabilimento Schiavone biocalore, di strada vicinale Torretta, è tornato a sorridere.

Nei giorni scorsi il Tar ha accolto la richiesta di sospensiva, presentata dall’imprenditore e ha congelato l’ordinanza con cui il sindaco Marco Alessandrini ha sospeso temporaneamente l’attività del sansificio, accusato di aver prodotto odori troppo forti, in attesa di una verifica attenta dei fumi.

Ma quello stop è costato caro ai titolari. «Non so quantificare il danno economico», rivela Rocco Schiavone, «posso solo dire che sono stato costretto a licenziare tre dipendenti, mentre gli altri diciassette sono, per il momento, in stand-by». In questa intervista l’imprenditore si sfoga, ripercorrendo le tappe che hanno portato alla chiusura e alla riapertura dello stabilimento. Poi, lancia un accorato appello ai cittadini. «La gente si deve rendere conto di quello che facciamo, noi non inquiniamo affatto», dice.

Dottor Schiavone, ma la vicenda ancora non si è chiusa...

«Il Tar, dopo aver accolto l’istanza cautelare, si dovrebbe pronunciare nel merito del nostro ricorso contro l’ordinanza del sindaco nei primi giorni di maggio. Ma per me la questione si è già risolta definitivamente. Il provvedimento del Tar è un primo importante riconoscimento che le emissioni di fumo non sono nocive per la salute».

La puzza, però, arriva dal vostro stabilimento.

«Secondo me, la gente non si rende conto di quello che facciamo. Noi asciughiamo la sansa che deriva dalle olive. È una sorta di estrazione di olio di semi e di oliva, parliamo di un prodotto assolutamente naturale. La sansa viene asciugata con il calore che viene prodotto bruciando altra sansa. Il 90 per cento del prodotto che produciamo viene venduto per riscaldamenti domestici».

Questo processo di lavorazione crea cattivo odore?

«Quello che lei definisce puzza, è un prodotto naturale. È come andare in una stalla. L’odore può essere forte, ma non abbiamo mai ammazzato nessuno, non siamo un inceneritore. È lo smog che ammazza la gente».

Quali problemi ha comportato la chiusura, seppure temporanea, del suo sansificio?

«Ci sono stati due-tre licenziamenti, ma non riesco, al momento, a quantificare il danno economico che ho ricevuto da metà gennaio, quando mi è stato imposto il primo stop per effettuare i controlli dei fumi. La nostra azienda ha un bel giro d’affari. Gli ambientalisti mi hanno persino accusato di accendere l’impianto di notte, quando invece era spento. Ora siamo pronti ad azioni legali».

Se le chiedessero di spostare altrove lo stabilimento, lei acconsentirebbe?

«Per gli impegni che abbiamo preso, non potremo trasferirci per 7-8 anni. Noi siamo stati autorizzati e abbiamo fatto degli investimenti. Ma se non vogliono che lo stabilimento stia qui, lo dicano e si trovi una soluzione».

Ora è tornato in funzione?

«L’attività è ripresa, ma non viene essiccata la sansa. Venerdì c’è stata una riunione con Regione, Provincia, Comune, Asl e Arta. Ora le competenze sono passate dalla Provincia alla Regione e, quindi, dovremo ricevere una nuova autorizzazione da quest’ultimo ente. Abbiamo già fatto i lavori richiesti inserendo degli enzimi nel biofiltro per eliminare la puzza. Il nulla osta, quindi, è imminente».

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