Hotel Rigopiano, dopo la tragedia: «Non fate morire anche Farindola»

Lo sfogo dell'ex sindaco Giancaterino: rischiamo di andarcene tutti

FARINDOLA. La morte ha il colore della neve a Farindola, paesino di 1500 abitanti finito nei televisori di mezzo mondo, tragica cartolina per raccontare la valanga, il resort a quattro stelle raso al suolo e i 40 dispersi sotto le macerie diventati, alla fine, 29 morti e 11 sopravvissuti.

Ma ora che tutto si è spento, non resta che quella maledetta neve in questo paese piegato dallo sgomento. Troppo dolore per i destini intrecciati per sempre sotto quella furia di ghiaccio e tronchi che il 18 gennaio s’è inghiottita le sue forze migliori. Come Marinella Colangeli, Alessandro Giancaterino e Linda Salzetta, dipendenti del resort. Come pure Gabriele D’Angelo, di Penne, e come il pescarese Roberto Del Rosso che aveva fatto di quell’hotel ereditato dallo zio un faro di rinascita per l’intero comprensorio. Un paese, Farindola, dove chi ha avuto la fortuna di salvarsi dal disastro di due settimane fa, oggi si ritrova senza un lavoro. E dove pure le opportunità legate agli altri talenti del territorio, come il pecorino, sono sparite in un soffio. Sotto la neve, ancora la neve, che ha distrutto i capannoni e 500 capi di bestiame della ditta Martinelli, una delle più importanti aziende casearie della zona. «Siamo gente di montagna, non siamo abituati a lagnarci. Ma questa volta rischiamo di non farcela», denuncia Massimiliano Giancaterino l’ex sindaco di Farindola che nel 2008 benedì, come i suoi concittadini, l’apertura del resort Gran Sasso e che oggi, oltre a tanti amici, piange il fratello Alessandro, caposala nel ristorante di quell’hotel.

«Passata l’emergenza e con il dolore per i morti che ancora ci sopraffà», dice ancora Giancaterino, «bisogna iniziare a guardare avanti, sempre nel rispetto di chi non c’è più. Perché oltre ai nostri figli migliori con quell’albergo sono volati via 30 posti di lavoro, ma anche l’indotto per il paese e le speranze di futuro. All’albergo si appoggiavano le due lavanderie del paese, il fornaio, anche il benzinaio ne giovava, e perfino i musicisti della zona che andavano a fare le serate lì. L’hotel era il volano dello sviluppo turistico di Farindola che adesso sconterà conseguenze devastanti. Certo», puntualizza Giancaterino, «sono problemi che passano in secondo piano rispetto ai morti e alle famiglie che li piangono. Ma se qualcuno non ci darà una mano dall’esterno rischiamo di smobilitare, di andarcene tutti. Da soli non ce la possiamo fare. Nei giorni scorsi è stata quasi distrutta anche la più grossa azienda che produceva pecorino, con un’altra decina di contratti di lavoro andati in fumo. Questa è la realtà: dopo i ragazzi di Farindola rischiamo di celebrare il funerale di un’intera area già provata dal degrado e dalle spoliazioni dell’intera zona vestina, con l’ospedale di Penne ridotto a uno scatolone vuoto, la viabilità penalizzata da decenni e la Brioni in forte crisi. Una tragedia dalle proporzioni immani».