Il monumento ai Caduti rubato dai nazisti

Da oggi in regalo con «il Centro» le immagini storiche e attuali della città

PESCARA. Un monumento di bronzo, circondato da un’aiuola quadrata, poggia su una base di bianchissimo marmo travertino e raffigura due militi con l’elmo. Di fronte, un edificio bianco, su cui campeggia la scritta «Albergo Palazzo». A destra si scorge corso Umberto, con, in fondo, il campanile del Sacro Cuore. Passano una persona in bicicletta e due uomini che si portano sottobraccio, come si usava una volta. Uno di loro indossa la divisa bianca dei marinai.

E’ una vecchia foto, che oggi regaliamo ai lettori: una testimonianza di quella Pescara che non c’è più, o che è rimasta senza lasciare memorie del proprio passato. Chi ha scattato quella foto si trovava dove ora è la Nave di Cascella, e voltava le spalle alla marina. Simboli del loro tempo. L’albergo esiste ancora, ed è quasi identico. Ha solo cambiato nome: oggi è l’Hotel Esplanade.

Ma il cambiamento del nome è stato una costante della sua storia. Quando fu costruito, a inizio Novecento, lo chiamavano palazzo Verrocchio, dal cognome del primo proprietario. Ma già pochi anni dopo era diventato l’Hotel Excelsior Palace Riviera di Castellamare, che rivaleggiava col Grand Hotel di Pescara quando i due comuni non s’erano ancora fusi in uno solo. Il monumento, invece, non c’è più. Luigi Lopez, autore di una sorta di vangelo sulla storia di questa città, «Pescara dalle origini ai giorni nostri», racconta che fu costruito nel 1930 per ricordare i caduti della Grande guerra.

Lo progettò lo scultore Guido Costanzo e fu elevato in piazza Francesco Crispi, ora piazza Primo maggio. In quegli anni venivano inaugurate numerose opere pubbliche: i campi da tennis, i giardini della riviera, l’ospedale, il liceo classico. Ma sull’anno in cui l’opera fu eretta esiste un piccolo mistero. Giovanni Guido, autore di «Aviazione e Abruzzo», ha trovato una delibera del 3 ottobre 1927, in cui il commissario prefettizio Leopoldo Zurlo disponeva lavori in piazza Francesco Crispi, «dove è stato eretto il monumento ai caduti». Il concorso per il progetto, del resto, fu bandito nel 1923. Giovanni Guido ha anche una foto in cui si vedono, accanto al monumento, dei soldati coi berretti alla francese, quelli che erano in uso prima del fascismo. «Pescara e Castellamare coltivarono fin da fine Ottocento un vivissimo sentimento patriottico: a Corso Umberto, nel 1917, vennero poste due lapidi, una inneggiante a Cesare Battisti e l’altra che ricordava un bombardamento austriaco in cui un paio di spezzoni (delle deboli bombe dell’epoca) fecero quattro o cinque morti».

Guido ha del monumento un ricordo che dipinge alla perfezione il clima di quegli anni. «Il fratello di mia madre era un celebrato fotografo, Zioni. Alla domenica andavamo a trovarlo, e passeggiavamo fino al monumento, in una Pescara che era un trionfo di villini col giardino. Due volte l’anno, quando la scuola d’aviazione dell’aeroporto iniziava i suoi corsi, i cadetti sfilavano per la città. Si radunavano sotto il monumento, lo onoravano di una corona d’alloro e poi marciavano, cantando, fino alla stazione o fino a San Cetteo». Sotto la dittatura. Benito Mussolini mostrò sempre di prediligere Pescara e le genti d’Abruzzo e del Molise. Li elogiava perché erano contadini e patrioti, perché fra loro c’erano pochissimi antifascisti, e (forse soprattutto) perché chiedevano al governo solo il puro necessario. Proprio l’Hotel Palace, col nome tradotto in Albergo Palazzo per ottemperare alle norme linguistiche del regime, divenne la sede provinciale del partito: lì si trovavano gli uffici del federale, l’ingegner Nicola Volpe. La guerra, fino al 1943, non aveva sfiorato Pescara. Nel libro «Il martirio di una città», Antonio Bertillo e Giampietro Pittarello ricordano che in quegli anni si stampava un settimanale, «L’Adriatico», su cui c’erano solo articoli di letteratura e pezzi di blanda propaganda fascista. Quanto Pescara fosse lontana dalla guerra lo dimostra anche il fatto che, in pieno conflitto, il federale chiese al Duce i fondi per un monumento a D’Annunzio.

Bruschi risvegli. Il 25 luglio sorprese i pescaresi in piena notte. La città sembrò incerta sul da farsi. L’indomani, mentre tutta l’Italia si scatenava in dimostrazioni di giubilo, la popolazione si riversò davanti all’Albergo Palazzo, ma non lo prese d’assalto: le dattilografe andarono al lavoro, e scoprirono solo più tardi che il fascismo era caduto. Qualche gerarca venne schiaffeggiato, ma più per la sua personale antipatia che in segno di odio al partito. Molti avvertirono i loro amici fascisti di non muoversi da casa, e un ufficiale che salutò alla romana il federale venne semplicemente ammonito a non ripetere quel gesto imprudente. Anche i due bombardamenti americani, il 31 agosto e il 14 settembre 1943, colsero Pescara di sorpresa.

«Le sirene, il 31 agosto, suonarono quando gli aerei erano a sole dieci miglia», ricorda Romano di Bernardo, autore di «La storia di San Silvestro». «Fu un bombardamento a tappeto. All’albergo Leon d’oro c’erano gli allievi ufficiali al completo. Morirono tutti. Il 14 settembre c’era stato già l’armistizio, sicché molti, quando videro gli aerei americani, pensarono volessero atterrare. Alla stazione c’era un treno carico di farina della De Cecco, fermo da giorni. La gente era lì a prender la farina, quando piovvero le bombe. Avevo otto anni, e ricordo l’Albergo Palazzo ancora in piedi in mezzo a un mare di macerie. La gente correva da una parte all’altra in cerca della propria roba. Si diceva perfino che un tale, col collo tagliato, aveva continuato a camminare per un po’». Gli alleati. Del monumento ai caduti, cui i tedeschi avevano già tolto le statue di bronzo, restò soltanto un pezzo della base. Nel libro «Pescara nella bufera», di Antonio Bertilio e Dimitri Franco, c’è una foto che documenta l’arrivo dell’Ottava armata britannica. Un cartello in inglese era attaccato alla base del monumento, e diceva: «Militari alleati, attenzione. All’alba tirate giù le maniche delle camicie e indossate pantaloni lunghi perché le zanzare portano la malaria».