CORONAVIRUS

Il neurologo: disturbi del sonno, sono le mamme le più colpite 

Il professor Di Giovanni: «Il Covid ha aumentato l’insonnia e ci ha reso più nervosi». Alcuni consigli per dormire meglio: «La mattina cercate di essere attivi e di stare in posti luminosi» 

PESCARA. Svegliarsi la mattina sempre allo stesso orario, essere particolarmente attivi in ambienti luminosi nella prima parte della giornata, evitare pasti pesanti la sera e condividere le proprie preoccupazioni con altre persone. Sono alcuni dei consigli pratici dati da Guido Di Giovanni per curare l’insonnia in tempi di Covid. Il neurologo della Asl Lanciano Vasto Chieti ed esperto in disturbi del sonno, è stato ospite ieri sera su Rete8 della trasmissione “Pronto Medicina facile-speciale coronavirus” condotta dal giornalista Paolo Castignani, dove ha affrontato il tema dell’insonnia e dato rimedi per tornare a dormire meglio e scacciare ansia, depressione e cattivi pensieri.
Professor Di Giovanni, il lungo isolamento a casa che impatto ha avuto sul nostro sonno?
«Potrebbe essere intuitivo che una condizione così stressante di isolamento e di riduzione dei rapporti sociali possa avere come conseguenza il disturbo del sonno soprattutto in un contesto di pandemia dove tutto è drammatico. In realtà, non è solo un discorso di ansia e preoccupazione. Tutte le dinamiche che si svolgono intorno alla quarantena e alla pandemia vanno a influenzare il processo che regola il ritmo sonno-veglia».
Cioè?
«Il ritmo sonno-veglia è regolato da due processi. Partiamo dal primo. Man mano che la giornata procede io sviluppo il bisogno di dormire fino ad arrivare alla sera per soddisfare il mio bisogno, appunto, dormendo. Questo processo è regolato dalla corteccia cerebrale. L’altro processo, invece, è molto più rigido ed è regolato da ormoni, da temperatura corporea, frequenza cardiaca. Questo processo risente anche della luce, dei pasti, dei ritmi. In questo contesto di preoccupazione e di ansia anche per fattori economici, cerco di addormentarmi ma non ci riesco perché il mio stato di allerta è alto. La limitazione dell’attività fisica, poi, controindica un buon sonno».
Quali sono le categorie più colpite dall’insonnia?
«I dati scientifici ci dicono che le categorie più a rischio sono le donne al di sotto di 35 anni e che hanno figli perché devono preoccuparsi anche di loro. Poi le categorie più colpite, secondo alcuni studi fatti dai medici cinesi, sono le persone che si espongono all’informazione per più di tre ore al giorno».
Quali effetti ha il disturbo del sonno sul nostro comportamento?
«Nervosismo, rabbia, aggressività, senso di impotenza e, soprattutto, stanchezza perché il sonno ha la funzione di migliorare la vigilanza, la memoria e la concentrazione del giorno dopo. Una persona che dorme male la notte, quindi, il giorno dopo pagherà in termini di irritabilità e anche di sonnolenza».
Quali sono alcuni consigli pratici per curare l’insonnia?
«La terapia cognitivo-comportamentale è la prima scelta nei casi di primi disturbi del sonno. Tra i consigli pratici, quello di svegliarsi al mattino in un orario fisso e, soprattutto, essere molto attivi sempre la mattina in ambienti particolarmente luminosi. Un altro consiglio che posso dare è quello di ritagliarsi uno spazio nella giornata per scaricare le tensioni, cercando di condividere le proprie preoccupazioni con altre persone. La sera è consigliato non fare pasti pesanti. E poi va evitata l’eccessiva esposizione all’informazione».
La terapia farmacologica, invece, quanto incide?
«Abbiamo dei farmaci molto efficaci che accentuano la naturale tendenza al sonno. Farmaci che presi prima di andare a dormire agevolano il sonno. Il problema è che questa azione si svolge entro uno-due mesi. Poi si crea un fenomeno che si chiama assuefazione, cioè il bisogno di aumentare il dosaggio per avere lo stesso effetto. Succede anche che in alcuni soggetti predisposti si crea una sorta di dipendenza da queste sostanze. Non viene mai consigliato un uso di questi farmaci per più di sei settimane. Dopo un po’ non funzionano più perché il meccanismo attraverso il quale agiscono si satura. Poi c’è un altro problema di cui spesso non si parla».
Quale?
«Questi farmaci già dopo 4-5 settimane alterano la qualità del sonno, in particolare le fasi del sonno profondo che sono quelle più importanti, ma il paziente continua a riferire un benessere assumendo questi farmaci. Va scoraggiato l’uso prolungato di questi farmaci e sostituire ad essi una terapia di tipo cognitivo-comportamentale. In questo modo il sonno diventerà più fisiologico».
C’è stato un boom di sonniferi in questo periodo?
«Sì, c’è stato. Se il sonnifero viene preso in questo determinato periodo in relazione alla comparsa di una insonnia intermittente o transitoria, ha senso ed è utile. Ma risolta la causa, poi, devo togliere questi farmaci perché sono utili quando c’è l’insonnia in un determinato periodo. Non è pensabile di utilizzarli in una forma di insonnia cronica perché dopo un determinato termpo perdono di efficacia».
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