Interessi usurari, la banca deve risarcire

La sentenza. L’imprenditore dovrà avere 30mila euro, l’istituto di credito ne pretendeva 200mila
PESCARA. Una importante società che opera in provincia di Pescara e che si occupa di forniture di prodotti legati al settore delle costruzioni aveva ricevuto una consistente richiesta di rientro dall’istituto bancario con il quale intratteneva rapporti già da diversi anni: la banca in questione pretendeva dalla società una somma compresa tra i 150 e 200mila euro.
Una cifra che avrebbe messo, come è accaduto, in serie difficoltà qualsiasi attività commerciale. Ma la causa civile avviata dall’imprenditore correntista, che si è affidato all’avvocato Emanuele Argento, ha capovolto la situazione, e da una supposta posizione debitoria, l’imprenditore è diventato creditore di 30 mila euro dallo stesso istituto.
La sentenza che ha sancito questo passaggio porta la firma del giudice Federico Ria che per giungere alle sue conclusioni si è affidato a una consulenza tecnica che ha sconfessato l’istituto bancario, dando ragione all’imprenditore.
Quest’ultimo, tramite il suo legale, aveva stilato un ricorso nel quale lamentava «la illegittima applicazione di interessi usurari ed anatocistici nonché delle commissioni di massimo scoperto e delle valute e l’illegittimo esercizio dello ius variandi», come scrive il giudice nella sua sentenza. Oltre a questo, il ricorrente chiedeva anche un adeguato risarcimento del danno che però non è stato concesso.
Il consulente nominato dal tribunale ha dovuto rideterminare le posizioni debitorie e creditizie in riferimento ai tre conti correnti che l’imprenditore, per poter operare con la sua attività, aveva acceso con la banca. Una perizia contabile che ha finito per capovolgere la posizione dell’imprenditore che da debitore, come sosteneva l’istituto di credito, è diventato creditore. Quanto al risarcimento del danno chiesto dal ricorrente, soprattutto perché per superare quel blocco che gli era stato imposto dalla banca era stato costretto a trovare altre strade per poter continuare la sua attività, gli è stato negato dal giudice per motivi squisitamente tecnici e procedurali.
«Era onere della parte attrice», scrive il giudice, «di allegare, con riferimento alle condotte non prescritte, che proprio quella specifica indisponibilità del credito qui riconosciutogli lo avesse indotto a contrarre con altri istituti prestiti e finanziamenti destinati a sopperire a tale indisponibilità».